Friday, February 7, 2020

Ripasso d’italiano utile

Anche se sei italiano o hai studiato la lingua italiana per diversi anni è bene rivedere il modo corretto di scrivere alcune parole.  Non essendo esposto al linguaggio quotidiano della lingua italiana anch’io posso sbagliare qualche parola e essere preso da dubbi.

Ripasso utile!


Approfondendo, con l’aiuto dell’enciclopedia Treccani:

È CORRETTO: “TUTTO APPOSTO” O “TUTTO A POSTO”?

Se vogliamo intendere “tutto in ordine”, dobbiamo scrivere tutto a posto. Apposto è la forma del participio passato del verbo apporre.


PROPRIO O PROPIO?

La forma corretta è proprio (dal latino proprium ‘personale’)
Frank, sei proprio sicuro che non ti vuoi fermare? (G. Faletti, Io uccido)
Sconsigliabile è la variante popolare propio (derivata dalla stessa base latina), sebbene anticamente fosse comune anche nella lingua scritta
s’io vedessi la propia persona (G. Boccaccio, Decameron).

QUAL È O QUAL’È?

La grafia corretta nell’italiano contemporaneo è qual è, senza apostrofo.
La grafia qual’è, anche se molto diffusa, è scorretta, perché non si tratta di un caso di elisione ma di troncamento, dal momento che qual esiste come forma autonoma.
La grafia qual’è con l’apostrofo è presente nella letteratura del passato, anche recente
Qual’è il piacere che volete da me? (C. Collodi, Le avventure di Pinocchio)
Do un’occhiata alla casa e capisco qual’è la camera (F. Tozzi, Ricordi di un impiegato).

DUBBI
Naturalmente anche qual era si scrive senza apostrofo.
Invece qual’erano si scrive con l’apostrofo, perché viene da quali erano, con elisione di quali.


Friday, January 24, 2020

La Nuova Vita dei Fari d’Italia


Il faro sull'isola Ventotene, nel Lazio
Una rapida lezione di storia ci dice che i primi fari italiani per le imbarcazioni erano costituiti da cumuli di erica e ginestra accesi all'interno delle torri di guardia. Questa combinazione efficace ma un po’ casuale lasciò il posto, nel corso del 1300, a vere e proprie lampade di segnalazione che bruciavano olio d'oliva. È interessante notare che l'olio d'oliva sia stato utilizzato come combustibile nei fari italiani fino alla fine del XIX secolo. Uno dei più famosi - e ancora in funzione - è il Capo di Faro di Genova, costruito nel 1326, che si dice sia stato gestito ad un certo punto da Antonio, zio di Cristoforo Colombo. 

Le circa 5.000 miglia di costa italiana sono sede di centinaia di fari, la maggior parte dei quali antichi. Ben 500 illuminano ancora pazientemente un passaggio sicuro attraverso acque precarie, molti altri sono stati abbandonati al tempo....e senza finanziamenti. Insieme all'elevato numero di fari che punteggiano la costa italiana, ci sono infatti i costi di manutenzione e restauro.

Proprio come le famose promozioni "Comprare una casa per un euro" in numerosi villaggi italiani, come mezzo per proteggere e preservare il patrimonio culturale, l'Agenzia del Demanio ha avviato un programma simile per il restauro dei fari, denominato Valore Paese Faro - il Progetto di restauro dei fari. Basato sul successo di programmi simili in paesi come la Spagna, il Canada e gli Stati Uniti, la missione del progetto è "....il recupero e il riutilizzo dei fari e degli edifici costieri a fini turistici, culturali e sociali, in linea con i principi di sostenibilità legati alla cultura del mare". E, senza dubbio, all'auspicato ingresso di moneta turistica. 


L'avvio del programma nel 2016 è stato siglato con la commissione per l'affitto di 20 fari di proprietà statale dislocati in tutta Italia. Insieme al restauro, l'obiettivo del programma è quello di ridurre il debito pubblico scaricandolo su investitori privati, oltre a favorire il turismo nelle aree rurali. Una volta ottenuta la locazione, tuttavia, inizia l'investimento reale. 

Il faro di Capo Zafferano

Il nuovo proprietario deve avere esperienza nel settore turistico, oltre a presentare un piano fattibile per la ristrutturazione del faro per utilizzarlo come attrazione comunitaria e turistica. Pensate a B&B, location per matrimoni, caffè sul mare, e così via dentro un faro. Una commissione viene poi assegnata per un massimo di 50 anni, insieme all'accordo del locatario a mantenere l'integrità storica del faro durante tutta la sua ristrutturazione, oltre a prevedere procedure e pratiche sostenibili ed ecologicamente valide. Naturalmente, all'investitore sono garantiti alcuni dei migliori immobili sul lungomare italiano, panorami degni di un libro illustrato e la promessa di alti profitti. Con un impegno medio di locazione di 55.000 dollari all'anno e l’attrattività dei crediti d'imposta annuali, è un investimento allettante sia per gli investitori privati che per quelli aziendali.
Il raggio d'azione si è esteso ad altre strutture costiere come antiche torri, fortificazioni, ville e altri edifici di importanza storica che sono sotto la gestione delle Regioni e dei Comuni italiani.

In palio ci sono: il Forte di Castagneto Carducci, situato su una spiaggia Bandiera Blu della Toscana e in attesa di prendere vita come il miglior nuovo B&B sulla spiaggia della città. Preferite qualcosa di più tranquillo? Potrete averlo sull'Isola d'Elba, dove il bianco faro di Punta Polveraia si affaccia sull’azzurro mare ligure, pronto per rinascere come rifugio mozzafiato. Questi progetti non sono facili, ma con una visione d'acciaio, pazienza monumentale e un buon sostegno finanziario, un finale da favola è sicuramente realistico.

Il faro sull'isola di Pantelleria
La Sardegna è la patria di uno di questi esempi: l'Hotel Faro Capo Spartivento. Costruito nel 1854 per ordine del re Emanuele II di Savoia, il faro e gli edifici circostanti, arroccati su una scoscesa scogliera sarda, furono abbandonati nei primi anni ‘80. Un progetto di restauro durato otto anni ha riportato in vita l'antica struttura navale reale, ottenendo anche gli elogi della Marina Militare Italiana, in quanto primo esempio di restauro architettonico militare. 

Il restauro del Faro Capo Spartivento è stato realizzato nel pieno rispetto della conservazione della sua forma originale, con materiali di provenienza locale e pratiche sostenibili. L'energia viene prodotta attraverso pannelli solari, mentre l'acqua di mare desalinizzata copre la necessità di irrigazione del terreno e altri scopi utilitaristici. Il concetto include, oltre alle eleganti camere d'albergo, impieghi comunitari come pacchetti per matrimoni, ritiri creativi, esperienze di team building e accesso aperto ai servizi fotografici. Dalle immagini di questo rifugio solitario, non è difficile immaginare il tempo passato a disintossicarsi tra i canti dei gabbiani e il ronzio della brezza marina sotto il cielo sardo!  

Il faro Vieste in Puglia
Fari di luce: questi grandi vecchi fari hanno tutti l'opportunità di brillare di nuovo grazie al Progetto di Ristrutturazione dei fari italiani. Il guadagno economico è un pezzo del puzzle, ma la cosa più importante è che queste strutture hanno la possibilità di rimanere una parte vitale del paesaggio italiano, una testimonianza visibile delle comunità marinare che hanno servito, e un legame culturale che sarebbe deplorevole vedere scivolare via. 


Lo dice bene l'autore Steve Berry: "Uno sforzo concentrato per preservare il nostro patrimonio è un legame vitale con il nostro patrimonio culturale, educativo, estetico, motivazionale ed economico - con tutte le cose che ci rendono letteralmente ciò che siamo".

Adattato da un articolo dell'Italo Americano

Tuesday, December 17, 2019

Poesie e aforismi sul sonno e la notte


Poesie e aforismi sul sonno e la notte

Leonardo da Vinci faceva solo pisolini mentre Winston Churchill arrivava a 4 ore di sonno. Barack Obama dorme 6 ore, Bill Gates 7, a Silvio Berlusconi bastano poche ore per notte. Alessandro Magno invece dormiva sempre con l’Iliade sotto il cuscino.



Il sonno viene come l’avanzare della marea. Opporsi è impossibile. È un sonno così profondo che né lo squillo del telefono né il rumore delle auto che passano fuori mi arrivano all’orecchio. Nessun dolore, nessuna tristezza laggiù: solo il mondo del sonno dove precipito con un tonfo.
 (Banana Yoshimoto)


Non capisco perché l’insonnia venga di notte.
A me farebbe comodo di giorno.
 (Anonimo)


Il suo ideale di felicità terrena? Sei ore di sonno filate.
(Gesualdo Bufalino)



Si dorme accanto a una persona soltanto quando la si conosce bene, quando si ha fiducia in lei e ci si può abbandonare totalmente, senza paura di esserne traditi. Il sonno ci riporta all’infanzia, rivelando la fragilità celata dalle maschere sociali. Come nell’infanzia, richiede accanto a noi una presenza materna alla quale mostrarci così come siamo, anzi come non sappiamo di essere, perché il sonno ci sottrae a noi stessi.
(Silvia Vegetti Finzi)

Io ho bisogno di dormire almeno 13 ore al giorno. Più la notte.
(Paolo Burini)

È esperienza comune che un problema difficile la sera si risolva la mattina, dopo che il comitato del sonno ci ha lavorato sopra.
(John Steinbeck)

Da Eleusi di Hegel
Il mio occhio s’innalza verso l’eterna volta del cielo,
verso di te, splendente astro della notte
e dalla tua eternità discende l’oblio
di tutti i desideri, di tutte le speranze;
il senso si perde in questa visione,
quel che dicevo «mio» svanisce,
io mi abbandono nell’immenso:
sono in quello, sono tutto, sono solo quello.
Il pensiero ritorna ed è spaesato,
si spaura dinanzi all’infinito, e stupefatto
non comprende la profondità di quella visione.
È la fantasia che avvicina l’eterno al senso,
sposandolo alla figura (…).
(Hegel)

Gli uomini in stato di veglia
Hanno un solo mondo che è loro comune.
Nel sonno ognuno ritorna
A un suo proprio mondo particolare.
(Plutarco)

Non potremo più odiare
Chi abbiamo veduto dormire.
(Elias Canetti)

Da Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Giacomo Leopardi
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.(…)
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
(Leopardi)

Sunday, October 6, 2019

Estinzione delle api?

Rimanere senza miele a colazione è l'ultimo dei nostri problemi: le api hanno un ruolo cruciale nella produzione di cibo, e il loro declino minaccia seriamente la sicurezza alimentare mondiale. Un boccone su tre si deve al lavoro degli impollinatori: da api & affini dipende la riuscita di 87 delle principali 115 coltivazioni mondiali, il 35% della produzione globale di cibo. Si stima che per gli ecosistemi naturali e artificiali della Terra l'impollinazione valga circa 200 miliardi di dollari.


Tuttavia, dal 2014 in poi abbiamo assistito inermi alla scomparsa di oltre 10 milioni di alveari, e soltanto in Italia le arnie che diventano "silenziose" cessando il ronzio sono 200 mila all'anno. Mentre la comunità scientifica si interroga sulle cause di questo fenomeno complesso noto come sindrome di spopolamento degli alveari (dovuto a una serie di fattori che vanno dall'urbanizzazione all'uso di fitofarmaci, alle parassitosi), quel che si sa è che i cambiamenti climatici stanno rendendo la vita impossibile per le piccole operaie alate. Almeno in tre modi:

1. Perdita dell'habitat. Il rialzo delle temperature spinge le api a migrare verso latitudini più fresche e stabilirvi nuovi alveari. Tuttavia, questi spostamenti non avvengono abbastanza velocemente per tener passo ai ritmi del riscaldamento globale. Diversamente dalle farfalle, che in risposta ai cambiamenti climatici migrano verso i poli, le api, i bombi e altri indispensabili impollinatori faticano ad adattarsi alle condizioni imposte dai nuovi habitat. Il risultato è un "accorciamento" del loro areale di circa 300 km, in Europa e Nord America: mentre il limite territoriale a sud si sposta verso l'alto, verso territori meno torridi, quello settentrionale resta dov'è, e il territorio delle api si contrae.

2. Variazione delle stagioni. Il rialzo delle temperature porta a fioriture anticipate, con il risultato che i fiori mettono polline e nettare a disposizione quando le api non sono ancora pronte a raccoglierlo. Uno sfasamento di pochi giorni è sufficiente a impattare negativamente sulla salute delle api: compromette le loro capacità riproduttive, le rende meno attive e più vulnerabili ai parassiti.

3. Malattie. Il global warming facilita la diffusione dei parassiti che attaccano le api, come l'acaro Varroa destructor, che indebolisce e attacca le operaie, o il fungo Nosema ceranae, che compromette le funzioni digestive degli impollinatori. Per quanto riguarda quest'ultimo, che insieme al Varroa e all'Aethina tumida costituisce la minaccia principale tra le malattie degli alveari, è stato dimostrato che temperature più basse ne limitano la prevalenza. Di conseguenza, temperature più alte causate dai cambiamenti climatici potrebbero significare più api colpite da parassitosi. 


Come agire? Oltre a sostenere l'impegno politico di contrasto al global warming, nel concreto possiamo incoraggiare le fioriture "amiche" delle api in giardino e sul balcone, per attirare e nutrire questi preziosi insetti. Piante stagionali adatte anche a un utilizzo alimentare, come rosmarino, erba cipollina, salva, lavanda, basilico, o fiori molto colorati e profumati, offriranno a questi insetti una fonte di sostentamento in più per tutto l'anno, anche se abitate in città.

La moda degli alveari sui tetti delle città è diffusa in mezzo mondo. Sembra infatti che a dispetto dell'inquinamento le api di città, che hanno fiori molto vari e più o meno tutto l'anno, siano più "produttive" di quelle di campagna.

(Scritto e pubblicato sul sito: focus.it)

Monday, September 2, 2019


Viva la pasta!

Ben l'84% di persone in tutto il mondo affermano di apprezzare il cibo italiano! L'italiano medio consuma ogni anno 60 chili di pasta: abbastanza spaghetti da girare attorno al mondo circa 15.000 volte. La verve, la passione e la qualità superiore così profondamente parte della cultura alimentare italiana vivono prepotentemente di pasta; e questa storia d'amore sembra possa durare per sempre.


Lunga, corta, sottile, larga, attorcigliata, arricciata, pizzicata, annodata: la pasta in tutti i suoi gloriosi formati è onnipresente in Italia, è un alimento di base che potrebbe classificarsi al primo posto nella lista del "Cosa ti viene in mente quando pensi all’Italia?". Naturalmente, si presume che il primo piatto di pasta sia stato offerto all'umanità, secoli fa, nella penisola italiana. Ma in realtà, l'origine della pasta, come la conosciamo e amiamo oggi, è un po' complicata ... è un argomento che ancora cerca una cronologia verificabile.

Un antico mito dice che l'esploratore veneziano Marco Polo tornò dalle sue avventure in Cina nel 1295 con della pasta e che la fece conoscere ai suoi connazionali. Indubbiamente, Polo è tornato con molte delizie culinarie, ma ci sono prove piuttosto abbondanti sul fatto che la pasta esistesse già in Italia in quel periodo e che stesse già guadagnando popolarità nel corso del 13° secolo. Il 1279 racconta di un soldato genovese che chiede un cestino di maccheroni, la "bariscella piena de macarone", da lasciare all’amata, sicuramente facendo riferimento al già elevato stato di notorietà raggiunto dalla pasta alcuni anni prima del ritorno di Marco Polo. Un secolo prima il geografo musulmano al-Idrisi ha scritto di aver visto la pasta prodotta in Sicilia.

Un'occhiata all'antica Cina è un buon inizio per decifrare gli inizi della pasta. Indubbiamente, le tagliatelle a base di riso e altre farine sono state un punto fermo in Cina e in tutta l'Asia fin dall'antichità. Mentre le spedizioni e le invasioni si spostavano verso ovest, così facevano i loro noodles.

Sebbene nessuno sappia esattamente quando la prima scodella di chow mein sia stata mangiata sul suolo europeo, l’immaginazione e contributi accademici ci suggeriscono che in origine siano stati gli Arabi ad introdurre i noodles nel mondo mediterraneo nell'VIII secolo. Anche se questi erano molto diversi da quelli che oggi consideriamo pasta, il contributo arabo relativamente a salse e spezie è ancora radicato nella cultura dell’Italia meridionale.

Alcuni hanno proposto che la pasta esisteva in Italia molto prima dell'VIII secolo, sulla base di un rilievo scolpito rinvenuto in una tomba etrusca del IV secolo a.C. a Cerveteri. Neppure l'archeologia molecolare ha trovato prove nelle antiche rovine etrusche, romane e greche. Lo storico della gastronomia americana Charles Perry ha esplorato le origini della pasta e anche lui offre una confutazione: "....non c’è alcun riferimento romano certo ad una tagliatella di qualsiasi tipo, tubolare o piatta, e questo rende la teoria etrusca ancora più improbabile...." 

Nel XII secolo, il grano duro fece la sua comparsa. Necessario per produrre una pasta abbastanza robusta da essere tirata sottilissima, asciutta senza incrinarsi, e abbastanza resistente da sopportare l'ebollizione pur conservando sapore e una piacevole consistenza.

Cosi si asciugava la pasta

Il clima soleggiato della Sicilia e del sud Italia combinato con l'aria calda e secca e il raffreddamento delle brezze marine, ha dato condizioni che si sono rivelate ideali per la coltivazione di questo grano ... e per la nuova tecnica di essiccazione della pasta introdotta dagli Arabi.

Dal XIII secolo riferimenti a piatti di pasta si notano con frequenza crescente nell’intera penisola. Lo scrittore Boccaccio la menziona nel Decamerone.

Benché popolare, la pasta era inizialmente considerata cibo per gli aristocratici, perché i costi di produzione erano troppo alti. Tutto ciò cambiò, tuttavia, quando la produzione meccanica della pasta incominciò a Napoli nel 1600. I tempi erano duri, la carne e i prodotti erano scarsi, ma il grano no. I negozi di pasta fiorirono in tutta l'Italia meridionale. I napoletani divennero noti come "mangia-maccheroni." Questa nuova dieta si diffuse rapidamente in tutta Italia. Dal 1700 al 1785, solo a Napoli, i negozi di pasta passarono da 60 a 280.


Produzione delle orecchiette a mano
Sebbene sia difficile immaginare la pasta senza una salsa al pomodoro, dobbiamo aspettare il 1692 per la sua prima ricetta documentata. Le perfette condizioni di coltivazione dell'Italia meridionale hanno facilitato la disponibilità di abbondanti prodotti freschi che, una volta combinati con l’ingegnosa arte culinaria italiana, hanno dato forma alla ricchezza delle nostre salse e hanno dato vita ai nostri piatti di pasta preferiti.

- Basato anche su un articolo dell'Italo-Americano di 22 agosto e un articolo di National Geographic.

Wednesday, August 7, 2019

The Legacy of Rome

The Alphabet and Latin

 Rome has a rich and long history that goes back 2800 years to the Etruscans and the Greeks and it has been the center of Christianity for the last 2000 years. It was the first city to reach a population of about a million people at the apex of the territorial expansion in the third century AD. Imagine a single political entity covering Europe, the British Isles, North Africa and the Middle East with long periods of peace, one language and one currency. Rome is called the eternal city as one of the great cities in history and for its vast contribution to western civilization. The Roman alphabet and Latin are among the most important.
Roman letters carved into stone

The alphabet used in the ancient Roman language is known as the Roman alphabet. It was influenced by the earlier Greek alphabet and the Etruscan alphabet but the Romans developed it further. With the passage of time, a script with upper and lower case letters was developed. Although over the centuries different letter-forms appeared, especially in the medieval period, the ancient forms the Romans carved into stone inscriptions are still used today. After all, the ubiquitous font Times New Roman is clearly a reflection of that early writing.
The Pantheon

Latin was originally spoken in the area around Rome, known as Latium. Through the power of the Roman Republic, it subsequently would quickly spread over a larger part of Italy, in direct correlation to Roman conquests. Latin became the language of conquered areas because local people started speaking it, and not because the population was displaced by Latin-speakers. Latin was not imposed officially on peoples brought under Roman rule. Latin was the official language and was necessary for anyone seeking to play an important role in administration, politics, and military.
With the foundation of the Roman Empire, a large portion of the western world would come to speak various forms of Latin or have it intermingled with their own tongues. The Roman Legions carried a spoken form of Latin throughout the Roman provinces. Especially in the rest of Italy, Gaul (France) and Spain, this would become mixed with the local languages, and lead to the new languages known as the Romance languages. Without Latin, very few of the tongues we speak today would be possible or recognizable in their current forms.


Latin survived the fall of the Roman Empire. As the centuries passed, it continued to be an international language of the educated and social elite, accompanying the modified tongues of the common people. The language of the Catholic Church was Latin, and all scholarly, historical, or scientific work was written in it. After the medieval period, with the Renaissance, interest in classical Latin as a means of artistic and literary expression grew. Many ancient manuscripts were re-discovered and appreciated during this time.
Latin continues to be important in scientific, medical and legal terms, which allow easy comprehension in the various western languages. For example, Latin is fre­quently used in medical terminology, such as “bacterium”, “umbilicus”, “cerebellum”, etc. Latin was used in creating the scientific names for flora and fauna.  After the Dark Ages, from the twelfth century on, the economic and social development in Europe led to the rediscovery of Roman law, which was then assimilated by many European countries. Still today, we use terms like “modus operandi, “habeas corpus, “veto”, “quid pro quo”, “ad hoc” and “ipso facto.”

The Latin language is the bedrock of the language of Western Civilization. Modern students find that having a basis in Latin is useful for learning Romance languages, and even to improve their vocabulary in English.


Inscription from the time of emperor Claudius
As you are walking in Rome, you naturally see Latin inscriptions in the Forum and on ancient monuments like the Pantheon. A place to see more, where they are described in context, is at the the Terme di Diocleziano (Baths of Diocletian) in front of the Termini station. (This is described in the book WALK ROME as part of Walk 6.)

The museum includes an epigraphy section dedicated to Latin inscriptions, including vases, sarcophagi, tombstones and objects worked in metal. The ground floor includes the most ancient writings in Latin and in Greek in Italy. Among the most important are ceramic fragments with the writing REX (Latin for “king”), found near the Regia in the Roman Forum, and the dedica­tions to Castor and Pollux found near Lavinio, a town near Rome. Also on the ground floor are inscrip­tions which describe the popular asso­ciations in “colleges of occupations” which, according the historian Plu­tarch, go way back to the king Numa, that is to the sixth century BC. There are traces of writing of merchants and artisans, freemen and slaves, butch­ers and sellers of flowers, flutists, and associations for actors and singers.


Friday, July 5, 2019

 Paperino, che piace tanto perché è l’anti Topolino

 Il famoso personaggio compie 85 anni: intervista a Emanuele Virzì, fumettista e disegnatore 

Carattere scorbutico, irritante e scontroso ma riesce comunque a catturare il pubblico. Paperino rappresenta lo specchio della contemporaneità con i suoi modi irritanti e abrasivi? "Sono sicuro che Paperino sarebbe il più votato... e lo è stato di recente, sulla pagina Facebook del Papersera! E poi non dimentichiamo che si chiama Donald, non penserete mica che sia una coincidenza!!!" 


“Eh? Cosa? 60 centesimi? No! Ma per chi mi avete preso? Per il ministro del tesoro?” è una delle tante frasi storiche di Paperino, conosciuto negli USA con il nome di Donald Duck, personaggio Disney che il 9 giugno ha festeggiato 85 anni. Il papero più famoso del mondo, che fa impazzire grandi e piccini, esordiva per la prima volta il 9 giugno del 1934 nel corto animato “The Wise Little Hen” (La Gallinella Saggia). Quella di Paperino doveva essere inizialmente un’apparizione unica, occasionale per il singolo corto e nessuno certamente si aspettava che quell’esordio sarebbe stato l’inizio di una lunga e gloriosa carriera. Paperino piace subito, perché rappresentava l’antitesi perfetta di Topolino ed era in grado di fare tutto ciò che a quest’ultimo non era concesso. Il papero infatti si è sempre contraddistinto per il suo carattere vivace e sopra le righe; buffo e irascibile di fronte alle piccole cose. La pigrizia e le continue frustrazioni della vita quotidiana hanno sempre camminato a braccetto con la sua scarsa disponibilità economica. 

Paperopoli, ideata da Carl Barks, è una immaginaria metropoli di 1.316.000 abitanti con molti quartieri e uno sviluppo industriale avanzato. La città è situata nel Colisota, immaginario luogo degli Stati Uniti in cui risiede Paperino con la sua Paperina, Paperon de’ Paperoni e Nonna Papera. Forse Barks ha ideato Paperopoli mentre osservava Morro Bay, una splendida città costiera situata nella contea di San Luis Obispo in California. 

Angelo Barraco ne ha parlato con Emanuele Virzì, fumettista e disegnatore presso la Panini Comics Italia e Topolino Magazine.

Paperino ha compiuto 85 anni. Il papero più famoso del mondo con il vestito da marinaretto, il fiocco rosso, il carattere burbero e il cuore d’oro conquista ancora oggi il cuore di grandi e piccini di ogni parte del mondo. Cosa rappresenta Paperino nella cultura popolare italiana e americana?
“Prima di tutto tanti auguri a Paperino! Per come la vedo io il suo grande successo è dovuto al fatto che c’è un po’ di paperino in tutti noi, in qualsiasi angolo del globo. E poi è tra i personaggi più popolari della storia del fumetto, più dello stesso Topolino, che ospita le sue storie tra le sue pagine”.

La vita di Paperino si svolge in un contesto sociale abbastanza industrializzato ed evoluto. Secondo te Paperino è figlio della contemporaneità? Quanto ha influito il progresso di ogni giorno nelle storie fantasiose di Paperino?
“In realtà più che essere figlio della contemporaneità Paperino, come gli altri, è un personaggio al passo coi tempi, gli usi e le tecnologie, ma senza snaturare le proprie caratteristiche principali. Quando leggevo Topolino negli anni 90 i personaggi battevano a macchina e avevano il telefono fisso, adesso utilizzano dei portatili e i cellulari (e invece dei giornali, gli iPad). 
Paperino con iPad

Come ti sei avvicinato al mondo del fumetto e soprattutto a quello di Topolino?

“Possiamo dire che ci sono nato. Io non ne ho memoria ma i miei parenti raccontano che fin da piccolissimo ho sempre avuto Topolino per le mani, ancora non parlavo bene ma farfugliavo qualcosa all’edicolante che si trovava in centro a Trapani e lui sapeva che volevo il Topolino della settimana. Grazie alla rivista ho imparato a leggere prestissimo e copiando le pagine a disegnare. L’idea di voler fare il fumettista è venuta abbastanza naturale col passare del tempo”.
 
Topolino 3289 – Paperino e l’app da un milione di dollari (Deninotti-Virzì)

Qual è il rapporto che hanno gli italiani con il mondo del fumetto e quale invece quello che hanno gli americani?
“Diciamo che è un argomento un po’ complesso da poter riassumere in poche righe, Topolino è un prodotto tutto italiano che viene anche importato all’estero, America compresa (una storia disegnata da me è stata pubblicata questo Aprile in Brasile), ma non dimentichiamo che le origini dei fumetti di Topolino e Paperino vengono dagli USA (vedi Gottfredson e Barks). Purtroppo per come la vedo io il fumetto in Italia è considerato da buona parte della popolazione una cosa per bambini, ma non è affatto così. Spero che le cose possano migliorare”.


Come vedi Paperino tra 80 anni?
“Io vedo un giovane papero 165enne con lo spirito di sempre!”

Carattere scorbutico, irritante e scontroso ma riesce comunque a catturare il pubblico. E’ sempre stata questa l’arma vincente di Paperino. Anche quella di molti politici italiani e americani. Pensi che Paperino rappresenti lo specchio della contemporaneità con i suoi modi irritanti e abrasivi?
“Sono sicuro che Paperino sarebbe il più votato… e lo è stato di recente, sulla pagina Facebook del Papersera! E poi non dimentichiamo che si chiama Donald, non penserete mica che sia una coincidenza!!!”