Thursday, December 1, 2022

La storia dell'evoluzione della ruota

L’invenzione della ruota e la storia della sua evoluzione

La ruota è una delle scoperte tecnologiche fondamentali nella storia dell'umanità. Essa, infatti, è una componente essenziale dei principali mezzi di trasporto terrestri e, inoltre, è alla base di altre invenzioni: dai torni per costruire vasi, agli ingranaggi che funzionano con ruote dentate, solo per citarne un paio. Insomma, la civiltà contemporanea non avrebbe potuto svilupparsi se non avesse scoperto il principio della ruota.

Secondo la maggior parte degli studiosi la ruota è da datarsi intorno a 6.000-5.500 anni fa (cioè 4.000 – 3.500 anni prima di Cristo) e in origine fu applicata in due ambiti diversi: per costruire i torni dei vasai e per i trasporti. In particolare, nel settore dei trasporti le innovazioni fondamentali introdotte nel corso dei secoli sono state due: l’introduzione dei raggi, avvenuta già in epoca preistorica, e l’uso dei pneumatici, molto più recente.

Vasai al lavoro
Cos’è una ruota

Partiamo dalla definizione: cos’è la ruota? Molto semplicemente è un oggetto di forma circolare collocato su di un asse. L’asse può essere fisso, con la ruota che ci gira intorno, o può girare insieme alla ruota, imprimendole il movimento.

Nell’ambito dei trasporti, il grande vantaggio della ruota è quello di ridurre l’attrito. Immaginiamo di dover spostare un blocco di pietra. Se lo si trascina, un intero lato del blocco poggia sul terreno; se lo si trasporta su un veicolo dotato di ruote, solo una piccola porzione della ruota impatta sul suolo, e quindi l’attrito dello spostamento diminuisce in maniera significativa.

La ruota, inoltre, può essere applicata in molti ambiti diversi dai trasporti, consentendo la costruzione di macchine più efficienti.  L'utilizzo dell'energia idraulica al posto di quella animale o umana permise un aumento della produttività senza precedenti nell'antichità: l'energia prodotta da ciascuna ruota di un mulino ad acqua può macinare 150 kg di grano in un'ora, equivalente al lavoro di 40 persone.

Mulino ad acqua

Le origini della ruota

Per la maggior parte della sua storia il genere umano ha vissuto senza conoscere il principio della ruota: sebbene la nostra specie, l’Homo sapiens, sia emersa da 300-200.000 anni, la ruota è stata introdotta intorno a 6000 anni fa, cioè 4.000 anni prima di Cristo.

Molto più antica è la scoperta del principio del rotolamento, che era conosciuto già dalle specie del genere Homo precedenti al sapiens. Queste, cioè, probabilmente erano capaci di far rotolare oggetti di forma circolare (prevalentemente tronchi di albero). Simili oggetti, però, non erano vere e proprie ruote, perché mancava una componente fondamentale: l’asse.

Quando e dove fu introdotto il principio della ruota? È impossibile dirlo con certezza, ma la teoria più accreditata vuole che l’invenzione sia avvenuta in Mesopotamia (cioè la “terra tra due fiumi”, il Tigri e l’Eufrate, nell’attuale Iraq) intorno a 6.200 anni fa. Probabilmente, il primo uso è stato quello per la fabbricazione di vasi e non quello per i trasporti e in ogni caso il materiale utilizzato per fabbricare le prime ruote fu il legno.

 

La ruota delle paludi di Lubiana (credit Petar Milosevic)

Le prime attestazioni di ruote usate per trasporto risalgono a 6.000 anni fa e sono state individuate sulla sponda settentrionale del Mar Nero, nelle attuali Ucraina e Russia. Nei secoli successivi la presenza della ruota è documentata in varie parti d’Europa. La prima ruota con asse sopravvissuta fino a oggi è la cosiddetta Ljubljana Marshes Wheel (ruota delle paludi di Lubiana), risalente a circa 5.150 anni fa ed esposta al Museo della città di Lubiana.

La ruota si rivelò particolarmente utile perché si associò a un’altra innovazione: la domesticazione del cavallo, che avvenne per la prima volta nella Russia meridionale tra 7.000 e 6.000 anni fa. Non è noto se i cavalli siano stati i primi animali usati per il traino di carri (forse furono usati prima i buoi), ma è certo che, essendo molto più veloci, divennero presto gli animali da tiro per eccellenza, non solo per i trasporti, ma anche in ambito bellico. I primi carri da guerra trainati da cavalli furono introdotti probabilmente intorno a 4.000 anni fa.

Carro da guerra sumero (4000 anni fa)

Più in generale, il binomio ruota-cavallo consentì enormi progressi, velocizzando i trasporti e facilitando la scambio di merci e saperi.

L’evoluzione della ruota

In origine la ruota era una semplice sezione di tronco tagliato in orizzontale. Tuttavia, a causa della struttura del legno, era poco resistente e perciò, con il passare dei secoli, furono introdotti altri sistemi per tagliare i tronchi e poi unire i pezzi.

Ruota fatta con un tronco d’albero tagliato in orizzontale

Si trattava, però, sempre di ruote piene, fino a quando, circa 4.000 anni fa, fu introdotta un'innovazione fondamentale: la ruota a raggi che, rispetto a quella piena, è molto più leggera e, quindi, più facile da muovere. All’incirca nello stesso periodo alcuni popoli iniziarono a rivestire in metallo il bordo della ruota, in maniera da renderla più resistente agli urti.

Il resto del mondo e i popoli senza ruota

La ruota, in sostanza, si diffuse tra l’Europa centro-orientale, il Medioriente e l’Asia centrale. E nel resto del mondo?

In Cina le prime testimonianze dell’uso di ruote risalgono a circa 4.200 anni fa, ma non è noto se gli antenati dei cinesi avessero scoperto da sé il principio o lo avessero conosciuto attraverso i contatti con i popoli asiatici.

L’America rappresenta un caso a parte. Come sappiamo, prima dell’arrivo di Colombo e del contatto con gli europei, i popoli americani erano stati capaci di fondare civiltà avanzate, come quelle dei Maya, degli Aztechi e degli Inca. Essi, però, non conoscevano la ruota o, per lo meno, non la usavano su larga scala. I reperti archeologici mostrano che, sin da 3.500 anni fa, i popoli americani applicavano le ruote a piccoli oggetti, considerati dagli studiosi giocattoli per bambini o offerte votive per gli dei, ma prima di Cristoforo Colombo non la usarono mai per i trasporti o per altre funzioni più utili.

Giocattoli precolombiani con ruote (credi Madman)

Una domanda a questo punto sorge spontanea: come è possibile che popoli capaci di fondare società complesse e di costruire grandi edifici applicassero la ruota solo ai giocattoli? La spiegazione va ricercata nel fatto che sostanzialmente non esistevano animali da tiro. L’unico animale di grande taglia addomesticato in America era il lama, che però per la sua struttura fisica non è adatto a trainare veicoli.

Gli amerindi non sono stati gli unici popoli del pianeta a vivere senza conoscere il principio della ruota. In Africa, per esempio, la ruota era nota sin dall’epoca antica ai popoli più sviluppati, come gli abitanti della costa mediterranea, gli etiopi e alcuni altri, ma nella maggior parte del territorio a sud del Sahara fu introdotta solo dopo l’arrivo degli europei (in alcuni casi solo nell’800).

Lama

Innovazioni recenti

Nel corso dell’età antica, del Medioevo e dell’età moderna, il principio della ruota fu usato per varie applicazioni. Per esempio, le ruote ad acqua alimentavano i mulini, sfruttando l’energia prodotta dalla corrente di fiumi e torrenti.

Nell’ambito dei trasporti, dopo l’introduzione della ruota a raggi, per millenni non vi furono progressi tecnologici particolarmente importanti. Le ruote usate ai tempi di Socrate (V secolo a.C.) non erano molto diverse da quelle del tempo di Napoleone (inizio dell’Ottocento). Certo, c’erano stati miglioramenti nella scelta dei materiali o nella precisione della forma, ma le componenti basilari restavano le stesse.

Fu solo negli anni ’80 dell’Ottocento che fu introdotta un’innovazione paragonabile, per la sua importanza, a quella dei raggi: il pneumatico, che ha il grande vantaggio di adattarsi alle imperfezioni del terreno e di assorbire gli urti. L’invenzione si deve all’inglese John Dunlop, che nel 1888 brevettò il sistema di rivestire le ruote con gomma riempita di aria (c’erano stati alcuni tentativi precedenti, ma non avevano dato vita alla produzione di massa).

John Dunlop in bicicletta

Anche in questo caso, l’innovazione si associò a un’altra invenzione: quella dei veicoli meccanici, la bicicletta e l’automobile. Da allora – è banale dirlo – il binomio ruota con pneumatico – mezzo di trasporto meccanico è diventato inscindibile.

Adattato da un articolo un geopop italia 


Monday, September 26, 2022

Incredibili benefici del sangue blu dei granchi

In America, il sangue di granchio rimane vitale per la produzione di farmaci e vaccini

Spesso vado al mare nel Henlopen State Park in Delaware. Qualche mese fa, passeggiando sulla riva nell’area della baia, ho visto centinaia di questi granchi a ferro di cavallo.  Erano sul bagnasciuga e le piccole onde li spingevano leggermente avanti e indietro.  Sembravano in letargo.  I bagnanti mi dicono invece che è il loro periodo dell’accoppiamento.

Granchi a ferro di cavallo
Poi ho notato che durante il loro incontro sessuale e con l’aiuto delle onde alcuni si rovesciavano.  Questo poteva essergli fatale.  Infatti ogni tanto se ne vedevano alcuni sulla sabbia rovesciati e essiccati.  Allora anch’io, insieme agli altri bagnanti, mentre passeggiavo sulla riva, mi sono impegnato a rimetterli in posizione corretta. 

Non ci ho più pensato fino a che ho letto questo articolo sulla  rivista ’The Economist'.

Ogni aprile nella Carolina del Sud, i pescatori catturano centinaia di granchi a ferro di cavallo mentre strisciano sulla riva per accoppiarsi. I granchi vengono trasportati nei laboratori di proprietà di Charles River, un'azienda farmaceutica americana, a Charleston. Lì sono legati a controsoffitti d'acciaio e, ancora vivi, prosciugati di circa un terzo del loro sangue blu. Quindi vengono restituiti all'oceano. Questo liquido è vitale per l'industria biomedica americana. Un litro vale fino a $15.000.

Drenando il sangue blu dei granchi
Parti della medicina moderna sono state insolitamente dipendenti dal granchio a ferro di cavallo. Il suo sangue è l'unica fonte naturale conosciuta come limulus amebocyte lysate (LAL), un estratto che rileva l'endotossina, una sostanza chimica sgradevole e talvolta fatale prodotta da alcuni batteri. Le aziende farmaceutiche lo utilizzano per garantire la sicurezza dei medicinali e dei dispositivi impiantati, inclusi antibiotici, farmaci antitumorali, stent cardiaci, insulina e vaccini. Le cellule immunitarie nel sangue del granchio si coagulano attorno ai batteri tossici, dando un segnale visivo di contaminazione indesiderata.

Mentre le aziende farmaceutiche hanno aumentato la produzione del jab covid-19, la domanda per il liquido blu è aumentata vertiginosamente. Nel 2020 in America sono stati dissanguati quasi 650.000 granchi, il 36% in più rispetto al 2018.

Il sanguinamento non è privo di danni ai granchi. I conservazionisti stimano che tra il 5% e il 30% di loro muoiono al momento del rilascio. I biologi dell'Università del New Hampshire hanno scoperto che, una volta dissanguate, le femmine diventano letargiche e hanno difficoltà a seguire le maree nelle aree di deposizione delle uova.

Nel 2016 l'Unione internazionale per la conservazione della natura li ha classificati come "vulnerabili" all'estinzione. Ha accusato il sovrasfruttamento per l'uso come cibo, esca e test biomedici, nonché la perdita dell'habitat. Questo fa male anche ad altre specie. Il nodo rosso, un uccello che migra dal Sud America alla tundra artica, è in pericolo in gran parte a causa del declino delle uova di granchio a ferro di cavallo nella baia del Delaware, una tappa intermedia.

Con il calo del numero dei granchi e l'aumento della domanda di LAL, l'industria biomedica americana dovrà affrontare una crisi. Miliardi di vaccinazioni contro il covid-19 hanno fatto affidamento su di esso, ma lo fanno anche molte procedure chirurgiche di routine come le protesi d'anca, il cui numero è in crescita. Charles River, uno dei quattro produttori di LAL in America, stima che il 55% dei farmaci iniettabili e dei dispositivi impiantati a livello globale siano testati utilizzando l'estratto prodotto nel loro stabilimento di Charleston.

Eppure è già disponibile un'alternativa sintetica al LAL, che in Europa sta rapidamente sostituendo il sangue di granchio come standard industriale per i test. Uno studio ha mostrato che questo ha rilevato endotossine così come LAL, o anche meglio. Il test ha prodotto meno falsi positivi e, inoltre, è stato più economico da produrre.

I prossimi diversi round di booster covid-19 prodotti in America si baseranno sul granchio a ferro di cavallo. Ma una tale dipendenza da vampiro dal suo sangue blu non può durare a lungo.

■ Adattato e tradotto da un articolo della rivista The Economist

Thursday, August 25, 2022

La moda dell'abbronzatura

 Chi ha inventato la moda dell'abbronzatura?

Fino a un secolo fa l'abbronzatura non era ben vista. È diventata una moda grazie alla stilista francese Coco Chanel che per prima sfoggiò la "tintarella" a Parigi.


A lanciare la moda dell'abbronzatura fu la stilista francese Coco Chanel, che sul finire degli anni Venti del secolo scorso, di ritorno da una vacanza in Costa Azzurra, sfoggiò la sua tintarella per le strade di Parigi venendo presto imitata da stuoli di "fashion victim".

PRIMA ERA OUT. In epoca moderna, prima che l'audace Coco decidesse di liberarsi in spiaggia di guanti, ombrellini e parasole, l'abbronzatura era tutt'altro che ben vista, venendo associata ai mestieri umili che si praticavano all'aperto.

E benché i benefici dei raggi solari fossero già noti ai Greci e ai Romani (che prendevano il sole in terrazze dette solaria), un leggero pallore fu per secoli sinonimo di nobiltà e benessere, soprattutto per le donne. Di fronte alla seducente pelle bronzea di Chanel – pronta ad affermare che "l'abbronzatura dorata è chic" – le abitudini iniziarono però a mutare e la tintarella fu associata ai concetti di bellezza e salute.

 

8 cose che (forse) non sai sull'abbronzatura

No alle creme dell'anno scorso!

Se è rimasta la protezione solare dell'ultima estate nell'armadietto, la si può "riciclare"? Meglio di no. Le creme solari durano in genere 12 mesi dall'apertura, e solo se conservate in condizioni ottimali. Se le si lascia sotto il sole, nella sabbia o mezze aperte, i filtri solari che contengono si degradano molto più facilmente, e la loro efficacia non è più garantita. Sulle confezioni, comunque, sono riportati la data di scadenza oppure il numero di mesi di conservazione ottimale del prodotto dopo l'apertura, accanto al simbolo di un barattolo aperto (il cosiddetto PAO, period after opening).


Non sei "al sicuro" neanche sotto l'ombrellone. Anche quando siamo all'ombra riceviamo più del 50% di tutti i raggi ultravioletti, a causa del riverbero sulla sabbia e sull'acqua, e della radiazione diffusa. È quindi necessario mettersi la crema sempre, persino quando riposiamo sotto all'ombrellone. Vale anche se il meteo è incerto: i raggi UV passano infatti attraverso le nuvole.

Tieni d'occhio l'orologio. L'irraggiamento e l'intensità dei raggi UVB (i più pericolosi, perché responsabili delle ustioni e dell'invecchiamento della pelle, e perché aprono la strada ai melanomi) sono massimi tra le 11:00 e le 16:00. Evitando di esporsi al sole in questa fascia oraria si riducono in modo significativo i rischi di scottature e tumori cutanei.

Se metti la crema non ti abbronzi di meno. Ma solo in modo più lento e graduale, ottenendo un colorito più resistente nel tempo e limitando i danni cutanei. La crema va spalmata almeno 15 minuti prima di esporsi al sole, e rinnovata ogni 2 ore, anche se sei un tipo mediterraneo, con capelli scuri e carnagione già olivastra. In quel caso, puoi partire da una protezione media (fattore 15-25) e dopo 4-5 giorni passare a quelle più basse (filtri da 6 a 10). Non essere avaro: la dose minima di crema per rivestire un corpo adulto è di 6 cucchiai (25-30 grammi).


Conosci (e rispetta) il tuo fototipo. Ossia le diverse tipologie di reazione al sole basate su colore della pelle, dei capelli e degli occhi. Sei del fototipo 1 se hai carnagione e occhi chiari, capelli rossi o biondi, efelidi; la mancanza quasi totale di melanina ti rende suscettibile a ustioni ed eritemi e devi limitare l'esposizione al sole. Il fototipo 2, carnagione chiara e capelli biondo scuro o castano chiaro, deve usare fattori di protezione totale; il fototipo 3, carnagione abbastanza scura e capelli castani, può usare una protezione medio-alta; per il fototipo 4 (carnagione olivastra, occhi e capelli neri) e il fototipo 5 (capelli crespi e occhi scuri, fototipo mediorientale) va bene una protezione media. Per il fototipo 6 (pelle nera) è comunque consigliata una protezione da bassa a media. Per tutti vale la regola di limitare l'esposizione nelle ore più calde.

Rischi di più se... Se appartieni a uno dei primi due fototipi. L'85-90% dei tumori cutanei si sviluppa nelle persone di questi gruppi, e le persone con capelli rossi sono, per ragioni legate all'espressione di un gene chiamato MC1R, più suscettibili a varianti aggressive di melanoma. Questo non significa che gli altri fototipi siano indenni dal rischio: i tumori cutanei colpiscono anche chi ha pelle e capelli scuri, e in genere vengono diagnosticati in fasi più avanzate.

Attenzione ai bambini. Vanno sempre protetti per primi, rinnovando spesso la protezione perché entrano ed escono continuamente dall'acqua. Prima dei tre anni, non andrebbero esposti al sole senza indumenti, occhiali con lenti scure e cappellino. Le loro scottature si possono trasformare, una volta raggiunta l'età adulta, in melanomi. Andrebbero portati in spiaggia nelle prime ore del mattino, o nel tardo pomeriggio. Insomma va usato il buon senso, ricordando che la luce solare, in giusta misura, ha anche effetti molto positivi sulla salute, perché permette all'organismo di disporre di adeguati livelli di vitamina D, e riduce il rischio di sviluppare tumori ad altri organi.

Le rughe. Sfoggiate con orgoglio dai pescatori (come Mario Cusolito, pittore e pescatore di Stromboli), le rughe sono un effetto tangibile dell'esposizione al sole. In altre parole, abbronzarsi fa invecchiare, perché al sole la pelle perde elasticità (attraverso la degenerazione del collagene e dell'elastina, le due proteine che la sostengono). Sotto accusa ci sono i raggi UVA, che penetrano in profondità. nell'epidermide fino a raggiungere gli strati superiori del derma. Sono meno energetici dei raggi UVB, i quali però sono in gran parte filtrati dall'atmosfera.

Adatto da articoli di Focus.it





Wednesday, June 8, 2022

Ai figli, anche il cognome della madre.

Cosa cambia con la sentenza della Corte Costituzionale?

 Le norme che attribuiscono automaticamente il cognome del padre sono state definite illegittime. La nuova regola prevede che vengano assunti quelli di entrambi i genitori tranne nel caso in cui si decida di sceglierne solo uno, di comune accordo. Alcuni aspetti restano però da chiarire, motivo per cui si chiede di arrivare in fretta anche ad una legge sul tema.

 Mercoledì 27 aprile la Corte Costituzionale ha definito illegittime le norme che attribuiscono al figlio di una coppia il cognome del padre in modo automatico, con quella che è stata definita un’altra sentenza “storica”, nonché una “svolta di civiltà”. In un comunicato si legge che i giudici hanno ritenuto “discriminatoria” e “lesiva dell’identità del figlio” la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre e che, “nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento fondamentale dell’identità personale”.

Il caso

La Corte aveva già espresso delle perplessità sull'automatismo riguardante il cognome e lo scorso gennaio lo aveva definito "retaggio di una condizione patriarcale della famiglia". A questa sentenza si è però arrivati perché la Consulta è stata chiamata a farlo nell’ambito di un procedimento, partito nel 2020 a Lagonegro, in Basilicata. Quell’anno una coppia si era rivolta al tribunale perché voleva dare al figlio solo il cognome della madre, così che questo potesse condividere lo stesso cognome dei fratelli, ma la legge non lo consentiva. Gli altri ragazzi lo avevano infatti acquisito solo perché erano stati riconosciuti successivamente dal padre, mentre l’ultimo arrivato era nato nel matrimonio. Come ha ricostruito il loro legale, i primi tentativi della coppia sono stati vani, ma i coniugi non si sono arresti e hanno fatto appello contro la decisione di primo grado. Proprio durante il nuovo processo, la questione è stata rimessa alla Corte costituzionale. “È inutile nascondere la soddisfazione per questo risultato, è stato un percorso lungo e faticoso ma alla fine la nostra tesi è stata riconosciuta come valida”, ha detto il legale, commentando la sentenza. “La coppia ci ha sempre creduto".

Cosa succede ora

La Corte ha stabilito anche cosa cambierà nella pratica. “La regola”, si legge nel comunicato, “diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due. In mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, resta salvo l’intervento del giudice in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico”. Questi cambiamenti riguarderanno i figli nati nel matrimonio, fuori e anche a quelli adottati. Alcuni aspetti restano però da definire e, come specifica il comunicato, sarà compito del legislatore (quindi del Parlamento) farlo. Tra le altre cose, bisognerà decidere come procedere se uno dei due genitori ha già il doppio cognome.

Tuesday, May 10, 2022

La Festa del Lavoro

 La Storia della Festa del Lavoro ci porta in Australia, Chicago e Parigi

La Festa dei lavoratori ha una storia che risale al XIX secolo: il «Primo Maggio» venne — infatti — dichiarato ufficialmente una ricorrenza per la prima volta a fine Ottocento, per l'esattezza a Parigi, il 20 luglio del 1889. L’idea nacque durante il congresso della Seconda Internazionale, riunito nella capitale francese: venne indetta una grande manifestazione per chiedere alle autorità pubbliche di ridurre la giornata lavorativa a otto ore.

«8 ore di lavoro, 8 di svago, 8 per dormire» era lo slogan coniato in Australia anni prima, nel 1855 — condiviso da gran parte del movimento sindacale del primo Novecento — che aprì la strada a rivendicazioni generali e alla ricerca di un giorno in cui tutti i lavoratori potessero incontrarsi per esercitare una forma di lotta e rivendicare i loro diritti. Diritti che sono arrivati — poi — fino alla Costituzione italiana che come noto recita all'articolo 1: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro».

Concerto di primo maggio a Piazza San Giovanni a Roma

Perché proprio il primo maggio?

A far ricadere la scelta sulla data del 1° maggio furono i gravi incidenti accaduti tre anni prima, nei primi giorni di maggio del 1886 a Chicago : in piazza Haymarket si tenne un raduno di lavoratori e attivisti anarchici in supporto ai lavoratori in sciopero, trasformatosi in tragedia. A metà Ottocento, infatti, i lavoratori non avevano alcuna tutela: lavoravano anche 16 ore al giorno, in pessime condizioni, rischiando la vita. Il Primo maggio 1886 fu — così — indetto uno sciopero generale in tutti gli Stati Uniti per ridurre la giornata lavorativa a 8 ore. La protesta durò tre giorni e culminò appunto, il 4 maggio, con un massacro represso nel sangue: le vittime furono 11.

Il ricordo in tutto il mondo

L’iniziativa divenne il simbolo delle rivendicazioni degli operai che in quegli anni lottavano per avere diritti e condizioni di lavoro migliori. Così, nonostante la risposta repressiva di molti governi, il Primo maggio del 1889 registrò un’altissima adesione. Oggi quella data è festa nazionale in molti Paesi, tranne che negli Stati Uniti dove il «Labor Day» si festeggia il primo lunedì di settembre ed è differente dall’«International Workers' Day» che in America è stato riconosciuto ma mai ufficializzato come giorno dei lavoratori.

Una curiosità?

In Italia la festività del Primo maggio fu ratificata due anni dopo, nel 1891. Durante il ventennio fascista, a partire dal 1924, la celebrazione fu anticipata al 21 aprile, in coincidenza del cosiddetto «Natale di Roma» (e nel 1947, quando si riprese a festeggiarlo il Primo maggio, la celebrazione venne repressa nel sangue a Portella della Ginestra). Dopo la fine del conflitto mondiale, nel 1945, fu ripristinata mantenendo lo status di giorno festivo. Dal 1990 i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil, in collaborazione con il comune di Roma, organizzano un grande concerto in pizza san Giovanni per celebrare il Primo maggio, rivolto soprattutto ai giovani.

«Al lavoro per la pace»

Quest’anno, dopo due anni di pandemia, Cgil, Cisl e Uil celebrano la giornata con la tradizionale manifestazione che quest’anno si svolge ad Assisi, in piazza San Francesco. Un luogo non casuale per chiedere di porre fine all’aggressione della Russia all’Ucraina. Non a caso, lo slogan scelto quest’anno è «Al lavoro per la pace», perché — spiegano gli organizzatori — se da un lato c’è la gioia per il ritorno in piazza, dall’altro c’è l’angoscia per quanto sta accadendo a pochi passi da noi.

Frasi celebri

Il tema del lavoro è citato anche in diverse frasi celebri, passate alla storia, molte delle quali ricordano anche tante questioni ancora oggi irrisolte:

- «Si aspira ad avere un lavoro per avere il diritto di riposarsi» (Cesare Pavese)

- «Il lavoro è umano solo se resta intelligente e libero» (Papa Paolo VI)

- «Io credo nel popolo italiano. È un popolo generoso, laborioso, non chiede che lavoro, una casa e di poter curare la salute dei suoi cari. Non chiede quindi il paradiso in terra. Chiede quello che dovrebbe avere ogni popolo» (Sandro Pertini, nel discorso di fine anno agli italiani, 1981)

- «Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti tormento, tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro che non serva, non giovi a un nobile scopo» (Adriano Olivetti)

- «La grandezza del lavoro è all’interno dell’uomo» (Papa Giovanni Paolo II)

- «Se gli uomini hanno la capacità di inventare nuove macchine che tolgono lavoro ad altri uomini, hanno anche la capacità di rimetterli al lavoro» (J.F. Kennedy)

- «Rifiutate di accedere a una carriera solo perché vi assicura una pensione. La migliore pensione è il possesso di un cervello in piena attività che vi permetta di continuare a pensare uque ad finem, fino alla fine» (Rita Levi Montalcini)

- «L’artista è nulla senza il talento, ma il talento è nulla senza il lavoro» (Émile Zola)

- «L’unico modo di fare un ottimo lavoro è amare quello che fai.
Se non hai ancora trovato ciò che fa per te, continua a cercare, non fermarti,
come capita per le faccende di cuore,
saprai di averlo trovato non appena ce l’avrai davanti.
E, come le grandi storie d’amore,
diventerà sempre meglio con il passare degli anni.
Quindi continua a cercare finché non lo troverai.
Non accontentarti.
Sii affamato.
Sii folle» (Steve Jobs)

- «Un uomo non è pigro se è assorto nei propri pensieri; esiste un lavoro visibile e uno invisibile» (Victor Hugo)

«Lavorare senza amore è schiavitù» (Madre Teresa di Calcutta)

«La donna che può inventare il suo proprio lavoro è la donna che otterrà fama e fortuna» (Amelia Earhart)

«Io ho fatto tanti lavori e ho imparato questo: ti capita di fare quella cosa lì, falla bene. Qualche cosa ne uscirà» (Gianni Rodari)

         Da un articolo di Silvia Morosi sul Corriere della Sera, 1 maggio 2022

Thursday, April 7, 2022

Il bambino è il maestro

 “Il bambino è il maestro” il libro di Cristina De Stefano sulla vita di Maria Montessori

La donna italiana più famosa a livello internazionale.  Ricordate la sua immagine sulle banconote di 1000 lire?

 

 La figura del bambino si presenta possente e misteriosa, e noi dobbiamo meditare su di essa perché il bambino, che chiude in sé il segreto della nostra natura, divenga il nostro maestro.

Cristina De Stefano, si è dedicata ad uno studio accurato della vita e dell’operato della Montessori, arrivando a pubblicare, un’imponente biografia, in cui è possibile conoscere a tutto tondo la sua personalità straordinaria. Dalle pagine di questo volume si arriva a comprendere come il metodo rivoluzionario che ha inventato provenga da una donna estremamente indipendente, testarda, creativa e libera.

La copertina del libro

Non ci si annoia affatto leggendo la sua biografia, anzi, tanti fatti della vita della Montessori lasciano a bocca aperta, a partire dalla sua esperienza scolastica, che inizia in maniera estremamente traballante: pur essendo molto intelligente, la piccola Maria si farà bocciare e l’amore per lo studio nascerà tardi. Ha un carattere difficile, aspetto che d’altra parte sembra contraddistinguere molte figure geniali della storia.

Non fu solo pedagogista, ma intraprese anche gli studi di medicina con una specializzazione in neuropsichiatria infantile (fu tra le prime donne in Italia a laurearsi come medico). La sua specializzazione le permise di dedicarsi al recupero dei minori con problemi psichici, che venivano emarginati perché ritenuti “anormali”, lavorando a Roma presso la clinica psichiatrica universitaria. Proprio qui si innamorò di un collega ed ebbe un figlio fuori dal matrimonio, Mario, che verrà partorito di nascosto e affidato ad una famiglia lontano da Roma.

Quando aprì la prima “Casa dei bambini”, in cui comincia ad applicare il suo metodo, che smantellava quello tradizionale e impostava la scuola in un’ottica completamente differente, ottenne via via sempre più risultati confortanti e pian piano si interessò a lei tutto il mondo, Stati Uniti compresi. Il suo metodo mette al centro il bambino e ne fa un essere degno di rispetto, ne promuove la spontaneità e l’indipendenza nell’apprendimento.

Si può definire una visionaria, Maria Montessori, riconsiderò tutto quello che fino ad allora si dava per scontato sull’intelligenza infantile con grande coraggio, partendo con lo sperimentare nuove strategie in una scuola di un quartiere romano poverissimo. Proprio negli anni più duri del Novecento è riuscita ad infrangere antichi pregiudizi, dimostrando l’irragionevolezza di metodi di insegnamento basati sull’autoritarismo e contrastando pratiche di emarginazione ai danni di chi era sofferente o veniva considerato diverso, aprendo la strada ad un percorso di crescita dei bambini basato sulla piena espressione della loro creatività.

La straordinaria vita di Maria Montessori è stata anche una storia di emancipazione femminile, di passione e intelligenza, sicuramente un simbolo ed un esempio per tante educatrici ed insegnanti, che si impegnano ogni giorno nel loro lavoro, mettendosi in gioco, sperimentando, non scegliendo la via più semplice ed ovvia.


    Da un recente articolo di Sarah Carr sul Washington Post:

 Maria Montessori, the visionary behind the popular child-directed approach to education, focused her early efforts on groups that had long been excluded from Italy’s schools: children from impoverished backgrounds, kids with disabilities, those with mental illnesses. At the first school Montessori led, she worked with neglected young residents of one of Rome’s poorest, most “disreputable” neighborhoods, San Lorenzo — “a sort of no-man’s-land where the police are reluctant to set foot,” writes Cristina De Stefano in “The Child Is the Teacher: A Life of Maria Montessori,” a new biography of the famed educator. “The children of San Lorenzo, above all, elicit her compassion,” De Stefano tells us; they were “barefoot, defenseless, victims of all kinds of abuse.”

 It was at this school, the Children’s House, which opened in 1907 for children ages 2 to 6, that Montessori began to crystallize her approach, which emphasizes child-led exploration, manipulation of physical objects and steady teacher observation. She insisted from the start that “the children have to have total freedom of movement. They must be allowed, if they want, to lie on the floor or sit under the table.”

It was a radical pedagogy at the time — no less so because of its application to some of Italy’s most disenfranchised children. One of Montessori’s first essays on education documented the unnecessary treatment of Italian students expelled from school. “The article is an act of accusal against the government, which thinks it can resolve the problem of troubled youth by hiding it from view,” De Stefano writes.

Yet as the Montessori approach quickly spread, it morphed in some parts of the world into something very different: an educational fad for the upper class. In 1911, De Stefano reports, the first American Montessori school opened in a suburb of New York. It was private, was funded by a wealthy bank president and served exclusively students whose families were part of Manhattan’s financial elite. In more recent decades, dozens of public — and free — Montessori programs have opened across the country, often as part of explicit efforts to desegregate schools. Yet it remains an exclusive option in many communities; there are five times as many private Montessori schools in the United States as public ones.

“The Child Is the Teacher” repeatedly evokes this tension between “Montessorism” as something of a social justice movement, aimed at empowering society’s most neglected through education, and as an educational strategy deployed largely to benefit society’s most privileged.

It is that social justice element of Montessorism that Americans need to embrace now, as we emerge from a pandemic that has widened gaps in educational opportunity and outcomes, and contributed to the disappearance of thousands of disproportionately low-income students from classrooms.

 

Sunday, February 6, 2022

Murano, la crisi del gas

La crisi energetica che sta colpendo duramente l’Europa miete una vittima di lusso. Le vetrerie di Murano sono devastate dal rincaro dei prezzi del gas naturale.

 https://www.youtube.com/watch?v=_GZZpzBLYRQ La Magia del Vetro di Murano

La storia di Murano: perché tornare indietro è impossibile

L’affascinante storia del Vetro di Murano nasce nel 1291, quando si decise che le vetrerie di Venezia fossero trasferite a Murano. Questa decisione, che si rivelò ben presto importante per gli abitanti dell’isola di Murano, fu presa perché i forni dei laboratori a Venezia erano la causa principale di gravi incendi.

A Murano si lavora il vetro da otto secoli, e chiaramente il ricorso al gas naturale per azionarne i forni è molto recente. Il suo uso comune risale infatti agli anni ’50 del XX Secolo, quando i forni a gas hanno preso il posto di quelli tradizionali a legna.

Chiaramente, però, l’industria non può tornare sui suoi passi. Le emissioni locali, infatti, supererebbero di gran lunga la soglia di legge. “Puoi avere una stufa a legna su una montagna, ma non puoi avere centinaia di forni a legna che vanno a 1100 gradi Celsius“, ha infatti spiegato Francesco Gonella, fisico specializzato in vetro artistico. E intanto la stretta al collo di Murano e dei mastri vetrai che ci lavorano si fa sempre più insostenibile.



Le materie prime principali per la produzione del vetro sono la sabbia silicea, la soda ed il calcare. Si ottiene il vetro da questi 3 ingredienti, riscaldandoli in forni giganti che riscaldano a oltre 1300°C. A questa temperatura di fusione, gli ingredienti si scioglieranno e si mescoleranno per ottenere vetro fuso, liquido e bruciante. Quando si raffredda, forma una massa trasparente e fragile: il vetro.

L'impennata dei prezzi del combustibile di cui necessitano le vetrerie 24 ore al giorno, 365 giorni l'anno, per sfornare gli splendidi manufatti colorati che decorano le case, gli alberghi, i palazzi di tutto il mondo, rischia di essere la causa di nuove chiusure per le aziende. Piccole imprese che dopo l'acqua alta del 2019, dopo il Covid e una crisi del settore che vede timidi segnali di ripresa potrebbero non reggere gli ulteriori elevati costi del gas metano. E se gli imprenditori muranesi in questi giorni hanno alzato la voce per puntare un faro sulla questione, a farsi portavoce delle loro proteste sono i parlamentari veneziani, che hanno presentato interrogazioni al Governo per tutelare l'arte del vetro, ormai a rischio chiusura.

Stiamo parlando di rincari che sfiorano il 500%. Se a settembre pagavano circa 20 centesimi al metro cubo, ad ottobre pagavano quasi un euro.

Perché il gas naturale è indispensabile ai vetrai

Attualmente lo stop della vetreria Effetre è solo momentaneo, ma c’è chi ha chiuso e teme di non avere modo di riaprire mai più. I vetrai di Murano hanno spiegato che metà del costo mensile delle operazioni deriva dal mantenimento della temperatura richiesta per lavorare la materia prima. Le fornaci bruciano a oltre 1.180 gradi centigradi, e lavorano 24 ore al giorno. Motivo per cui anche spegnere e riaccendere i forni rappresenta un costo estremamente gravoso.

Infatti il processo di raffreddamento rompe i crogioli, i tini di argilla in cui viene cotto il vetro. Sia quelli che i mattoni resistenti al fuoco devono essere sostituiti. Quindi ai vetrai di Murano possono servire anche due settimane per tornare alla giusta temperatura. La Effetre ha stimato che la riaccensione contemporanea di 15-16 forni può avere un costo compreso tra gli 80 e i 90 mila euro.

Vetrerie Murano: quelle attive sono sempre meno

Nel mese di dicembre, delle vetrerie di Murano, solo due erano ancora accese. Ben diciotto, infatti, erano inattive, fredde e vuote. “Nessuno qui ricorda un dicembre così in sordina“ ha spiegato Cristiano Ferro, 52 anni, uno dei proprietari della Effetre.

Se la stima parla di un consumo di 10 milioni di metri cubi annui, la spesa per il solo gas a cui saranno chiamate a far fronte le circa 60 aziende attive nell'isola si aggira sui 10 milioni di euro, con un maggior costo di circa 7,5 milioni. È un rincaro che va a colpire tutta la filiera: le aziende, il capitale umano, l'indotto di riferimento composto da incisori, decoratori e professionisti dell'arte vetraria a cui si aggiunge la filiera dello stoccaggio, dei trasportatori, dei negozianti, dei commercianti.

Friday, January 14, 2022

 Riprenderemo l'usanza di stringersi la mano?

La tradizione è molto antica, ma in Occidente si diffuse solo dopo la caduta dell'Impero romano, grazie alle popolazioni germaniche che abitavano il nord dell'Europa. 

Abbiamo interrotto l’usanza della stretta della mano a causa del covid. Gli esperti ci dicono che il covid si attenuerà e diventerà un’infezione simile all’influenza e quindi dovremo confrontarle entrambe.  Considerando che abbiamo negli USA in media, solo per l’influenza, 35.000 morti e 450.000 ricoveri all’anno, pensi che l’usanza di stringersi la mano scomparirà o riprenderemo a farla?

La stretta di mano tra Era e Atena in una stele del V secolo a.C. WikiMedia 

La pratica di salutarsi stringendosi la mano oggi è molto diffusa, un'abitudine che soltanto le misure di contenimento della pandemia hanno "sospeso". Ma le testimonianze antiche di questa usanza sono rare. Una delle attestazioni più famose in Occidente è una stele del V secolo a. C. dove a salutarsi così erano le dee Atena ed Era.

Immagini di strette di mano compaiono anche in stele funerarie dello stesso periodo, ma per gli storici si tratta di eccezioni: nella Roma antica ad esempio ci si salutava più frequentemente dandosi un bacio. La stretta di mano era limitata a situazioni particolari ed era riservata a pochi intimi: familiari e amici molto cari.

Relief Depicting King Shalmaneser III 858-824 BC Of Assyria

Stretta babilonese. Le cose andavano diversamente in Oriente. Lì questa pratica era diffusa già 4.000 anni fa, almeno nelle cerimonie religiose. Una delle testimonianze storiche più importanti proviene infatti da Babilonia (1800 a. C.) dove durante le solennità del nuovo anno il monarca stringeva simbolicamente la mano della statua di Marduk, il maggior dio babilonese, protettore dell'antica città.

Mi fido di te. La stretta di mano come la conosciamo noi oggi - diffusa a 360 gradi in tutta la popolazione - è divenuta pratica diffusa in Europa solo dopo la caduta dell'impero romano, durante l'Alto Medioevo (V-X secolo d.C.). A praticarla erano soprattutto le tribù germaniche: serviva a esprimere la piena fiducia nei confronti di chi si incontrava. E il perché è facile da capire: impegnando la mano destra era infatti impossibile sfoderare la spada per difendersi.

Paese che vai... Da allora la stretta di mano si è diffusa a macchia d'olio e oggi è comune in numerose culture, con alcune varianti. Nei paesi anglofoni è praticata ad esempio soprattutto nei contesti lavorativi, mentre nei paesi arabi il saluto (nella versione completa) prevede che la mano tocchi in successione il torace, le labbra e la parte centrale della fronte, poi il gesto si prolunga in avanti, mentre si fa un inchino. O secondo altre usanze che si appoggi sul petto, mentre l'altra mano stringe quella dell'interlocutore. Tra i Masai, infine, gli uomini più che stringersi la mano se la sfiorano: il loro saluto infatti consiste in un leggero tocco di palmo delle mani che dura un brevissimo istante.

CDC Flu in the U.S. 2010 –  2020 

                  Future  COVID

                     Morti + ?

       

                   Ricoveri + ?


                  Infezioni + ?


The burden of flu disease in the United States can vary widely and is determined by a number of factors including the characteristics of circulating viruses, the timing of the season, how well the vaccine is working to protect against illness, and how many people got vaccinated. While the effects of flu varies, it places a substantial burden on the health of people in the United States each year.

CDC estimates that flu has resulted in 9 million – 41 million illnesses, 140,000 – 710,000 hospitalizations and 12,000 – 52,000 deaths annually between 2010 and 2020.

CDC Estimated Range of Annual Burden of Flu in the U.S. from 2010 –  2020


Adapted from an article in Focus