Tuesday, December 17, 2019

Poesie e aforismi sul sonno e la notte


Poesie e aforismi sul sonno e la notte

Leonardo da Vinci faceva solo pisolini mentre Winston Churchill arrivava a 4 ore di sonno. Barack Obama dorme 6 ore, Bill Gates 7, a Silvio Berlusconi bastano poche ore per notte. Alessandro Magno invece dormiva sempre con l’Iliade sotto il cuscino.



Il sonno viene come l’avanzare della marea. Opporsi è impossibile. È un sonno così profondo che né lo squillo del telefono né il rumore delle auto che passano fuori mi arrivano all’orecchio. Nessun dolore, nessuna tristezza laggiù: solo il mondo del sonno dove precipito con un tonfo.
 (Banana Yoshimoto)


Non capisco perché l’insonnia venga di notte.
A me farebbe comodo di giorno.
 (Anonimo)


Il suo ideale di felicità terrena? Sei ore di sonno filate.
(Gesualdo Bufalino)



Si dorme accanto a una persona soltanto quando la si conosce bene, quando si ha fiducia in lei e ci si può abbandonare totalmente, senza paura di esserne traditi. Il sonno ci riporta all’infanzia, rivelando la fragilità celata dalle maschere sociali. Come nell’infanzia, richiede accanto a noi una presenza materna alla quale mostrarci così come siamo, anzi come non sappiamo di essere, perché il sonno ci sottrae a noi stessi.
(Silvia Vegetti Finzi)

Io ho bisogno di dormire almeno 13 ore al giorno. Più la notte.
(Paolo Burini)

È esperienza comune che un problema difficile la sera si risolva la mattina, dopo che il comitato del sonno ci ha lavorato sopra.
(John Steinbeck)

Da Eleusi di Hegel
Il mio occhio s’innalza verso l’eterna volta del cielo,
verso di te, splendente astro della notte
e dalla tua eternità discende l’oblio
di tutti i desideri, di tutte le speranze;
il senso si perde in questa visione,
quel che dicevo «mio» svanisce,
io mi abbandono nell’immenso:
sono in quello, sono tutto, sono solo quello.
Il pensiero ritorna ed è spaesato,
si spaura dinanzi all’infinito, e stupefatto
non comprende la profondità di quella visione.
È la fantasia che avvicina l’eterno al senso,
sposandolo alla figura (…).
(Hegel)

Gli uomini in stato di veglia
Hanno un solo mondo che è loro comune.
Nel sonno ognuno ritorna
A un suo proprio mondo particolare.
(Plutarco)

Non potremo più odiare
Chi abbiamo veduto dormire.
(Elias Canetti)

Da Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Giacomo Leopardi
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.(…)
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
(Leopardi)

Sunday, October 6, 2019

Estinzione delle api?

Rimanere senza miele a colazione è l'ultimo dei nostri problemi: le api hanno un ruolo cruciale nella produzione di cibo, e il loro declino minaccia seriamente la sicurezza alimentare mondiale. Un boccone su tre si deve al lavoro degli impollinatori: da api & affini dipende la riuscita di 87 delle principali 115 coltivazioni mondiali, il 35% della produzione globale di cibo. Si stima che per gli ecosistemi naturali e artificiali della Terra l'impollinazione valga circa 200 miliardi di dollari.


Tuttavia, dal 2014 in poi abbiamo assistito inermi alla scomparsa di oltre 10 milioni di alveari, e soltanto in Italia le arnie che diventano "silenziose" cessando il ronzio sono 200 mila all'anno. Mentre la comunità scientifica si interroga sulle cause di questo fenomeno complesso noto come sindrome di spopolamento degli alveari (dovuto a una serie di fattori che vanno dall'urbanizzazione all'uso di fitofarmaci, alle parassitosi), quel che si sa è che i cambiamenti climatici stanno rendendo la vita impossibile per le piccole operaie alate. Almeno in tre modi:

1. Perdita dell'habitat. Il rialzo delle temperature spinge le api a migrare verso latitudini più fresche e stabilirvi nuovi alveari. Tuttavia, questi spostamenti non avvengono abbastanza velocemente per tener passo ai ritmi del riscaldamento globale. Diversamente dalle farfalle, che in risposta ai cambiamenti climatici migrano verso i poli, le api, i bombi e altri indispensabili impollinatori faticano ad adattarsi alle condizioni imposte dai nuovi habitat. Il risultato è un "accorciamento" del loro areale di circa 300 km, in Europa e Nord America: mentre il limite territoriale a sud si sposta verso l'alto, verso territori meno torridi, quello settentrionale resta dov'è, e il territorio delle api si contrae.

2. Variazione delle stagioni. Il rialzo delle temperature porta a fioriture anticipate, con il risultato che i fiori mettono polline e nettare a disposizione quando le api non sono ancora pronte a raccoglierlo. Uno sfasamento di pochi giorni è sufficiente a impattare negativamente sulla salute delle api: compromette le loro capacità riproduttive, le rende meno attive e più vulnerabili ai parassiti.

3. Malattie. Il global warming facilita la diffusione dei parassiti che attaccano le api, come l'acaro Varroa destructor, che indebolisce e attacca le operaie, o il fungo Nosema ceranae, che compromette le funzioni digestive degli impollinatori. Per quanto riguarda quest'ultimo, che insieme al Varroa e all'Aethina tumida costituisce la minaccia principale tra le malattie degli alveari, è stato dimostrato che temperature più basse ne limitano la prevalenza. Di conseguenza, temperature più alte causate dai cambiamenti climatici potrebbero significare più api colpite da parassitosi. 


Come agire? Oltre a sostenere l'impegno politico di contrasto al global warming, nel concreto possiamo incoraggiare le fioriture "amiche" delle api in giardino e sul balcone, per attirare e nutrire questi preziosi insetti. Piante stagionali adatte anche a un utilizzo alimentare, come rosmarino, erba cipollina, salva, lavanda, basilico, o fiori molto colorati e profumati, offriranno a questi insetti una fonte di sostentamento in più per tutto l'anno, anche se abitate in città.

La moda degli alveari sui tetti delle città è diffusa in mezzo mondo. Sembra infatti che a dispetto dell'inquinamento le api di città, che hanno fiori molto vari e più o meno tutto l'anno, siano più "produttive" di quelle di campagna.

(Scritto e pubblicato sul sito: focus.it)

Monday, September 2, 2019


Viva la pasta!

Ben l'84% di persone in tutto il mondo affermano di apprezzare il cibo italiano! L'italiano medio consuma ogni anno 60 chili di pasta: abbastanza spaghetti da girare attorno al mondo circa 15.000 volte. La verve, la passione e la qualità superiore così profondamente parte della cultura alimentare italiana vivono prepotentemente di pasta; e questa storia d'amore sembra possa durare per sempre.


Lunga, corta, sottile, larga, attorcigliata, arricciata, pizzicata, annodata: la pasta in tutti i suoi gloriosi formati è onnipresente in Italia, è un alimento di base che potrebbe classificarsi al primo posto nella lista del "Cosa ti viene in mente quando pensi all’Italia?". Naturalmente, si presume che il primo piatto di pasta sia stato offerto all'umanità, secoli fa, nella penisola italiana. Ma in realtà, l'origine della pasta, come la conosciamo e amiamo oggi, è un po' complicata ... è un argomento che ancora cerca una cronologia verificabile.

Un antico mito dice che l'esploratore veneziano Marco Polo tornò dalle sue avventure in Cina nel 1295 con della pasta e che la fece conoscere ai suoi connazionali. Indubbiamente, Polo è tornato con molte delizie culinarie, ma ci sono prove piuttosto abbondanti sul fatto che la pasta esistesse già in Italia in quel periodo e che stesse già guadagnando popolarità nel corso del 13° secolo. Il 1279 racconta di un soldato genovese che chiede un cestino di maccheroni, la "bariscella piena de macarone", da lasciare all’amata, sicuramente facendo riferimento al già elevato stato di notorietà raggiunto dalla pasta alcuni anni prima del ritorno di Marco Polo. Un secolo prima il geografo musulmano al-Idrisi ha scritto di aver visto la pasta prodotta in Sicilia.

Un'occhiata all'antica Cina è un buon inizio per decifrare gli inizi della pasta. Indubbiamente, le tagliatelle a base di riso e altre farine sono state un punto fermo in Cina e in tutta l'Asia fin dall'antichità. Mentre le spedizioni e le invasioni si spostavano verso ovest, così facevano i loro noodles.

Sebbene nessuno sappia esattamente quando la prima scodella di chow mein sia stata mangiata sul suolo europeo, l’immaginazione e contributi accademici ci suggeriscono che in origine siano stati gli Arabi ad introdurre i noodles nel mondo mediterraneo nell'VIII secolo. Anche se questi erano molto diversi da quelli che oggi consideriamo pasta, il contributo arabo relativamente a salse e spezie è ancora radicato nella cultura dell’Italia meridionale.

Alcuni hanno proposto che la pasta esisteva in Italia molto prima dell'VIII secolo, sulla base di un rilievo scolpito rinvenuto in una tomba etrusca del IV secolo a.C. a Cerveteri. Neppure l'archeologia molecolare ha trovato prove nelle antiche rovine etrusche, romane e greche. Lo storico della gastronomia americana Charles Perry ha esplorato le origini della pasta e anche lui offre una confutazione: "....non c’è alcun riferimento romano certo ad una tagliatella di qualsiasi tipo, tubolare o piatta, e questo rende la teoria etrusca ancora più improbabile...." 

Nel XII secolo, il grano duro fece la sua comparsa. Necessario per produrre una pasta abbastanza robusta da essere tirata sottilissima, asciutta senza incrinarsi, e abbastanza resistente da sopportare l'ebollizione pur conservando sapore e una piacevole consistenza.

Cosi si asciugava la pasta

Il clima soleggiato della Sicilia e del sud Italia combinato con l'aria calda e secca e il raffreddamento delle brezze marine, ha dato condizioni che si sono rivelate ideali per la coltivazione di questo grano ... e per la nuova tecnica di essiccazione della pasta introdotta dagli Arabi.

Dal XIII secolo riferimenti a piatti di pasta si notano con frequenza crescente nell’intera penisola. Lo scrittore Boccaccio la menziona nel Decamerone.

Benché popolare, la pasta era inizialmente considerata cibo per gli aristocratici, perché i costi di produzione erano troppo alti. Tutto ciò cambiò, tuttavia, quando la produzione meccanica della pasta incominciò a Napoli nel 1600. I tempi erano duri, la carne e i prodotti erano scarsi, ma il grano no. I negozi di pasta fiorirono in tutta l'Italia meridionale. I napoletani divennero noti come "mangia-maccheroni." Questa nuova dieta si diffuse rapidamente in tutta Italia. Dal 1700 al 1785, solo a Napoli, i negozi di pasta passarono da 60 a 280.


Produzione delle orecchiette a mano
Sebbene sia difficile immaginare la pasta senza una salsa al pomodoro, dobbiamo aspettare il 1692 per la sua prima ricetta documentata. Le perfette condizioni di coltivazione dell'Italia meridionale hanno facilitato la disponibilità di abbondanti prodotti freschi che, una volta combinati con l’ingegnosa arte culinaria italiana, hanno dato forma alla ricchezza delle nostre salse e hanno dato vita ai nostri piatti di pasta preferiti.

- Basato anche su un articolo dell'Italo-Americano di 22 agosto e un articolo di National Geographic.

Wednesday, August 7, 2019

The Legacy of Rome

The Alphabet and Latin

 Rome has a rich and long history that goes back 2800 years to the Etruscans and the Greeks and it has been the center of Christianity for the last 2000 years. It was the first city to reach a population of about a million people at the apex of the territorial expansion in the third century AD. Imagine a single political entity covering Europe, the British Isles, North Africa and the Middle East with long periods of peace, one language and one currency. Rome is called the eternal city as one of the great cities in history and for its vast contribution to western civilization. The Roman alphabet and Latin are among the most important.
Roman letters carved into stone

The alphabet used in the ancient Roman language is known as the Roman alphabet. It was influenced by the earlier Greek alphabet and the Etruscan alphabet but the Romans developed it further. With the passage of time, a script with upper and lower case letters was developed. Although over the centuries different letter-forms appeared, especially in the medieval period, the ancient forms the Romans carved into stone inscriptions are still used today. After all, the ubiquitous font Times New Roman is clearly a reflection of that early writing.
The Pantheon

Latin was originally spoken in the area around Rome, known as Latium. Through the power of the Roman Republic, it subsequently would quickly spread over a larger part of Italy, in direct correlation to Roman conquests. Latin became the language of conquered areas because local people started speaking it, and not because the population was displaced by Latin-speakers. Latin was not imposed officially on peoples brought under Roman rule. Latin was the official language and was necessary for anyone seeking to play an important role in administration, politics, and military.
With the foundation of the Roman Empire, a large portion of the western world would come to speak various forms of Latin or have it intermingled with their own tongues. The Roman Legions carried a spoken form of Latin throughout the Roman provinces. Especially in the rest of Italy, Gaul (France) and Spain, this would become mixed with the local languages, and lead to the new languages known as the Romance languages. Without Latin, very few of the tongues we speak today would be possible or recognizable in their current forms.


Latin survived the fall of the Roman Empire. As the centuries passed, it continued to be an international language of the educated and social elite, accompanying the modified tongues of the common people. The language of the Catholic Church was Latin, and all scholarly, historical, or scientific work was written in it. After the medieval period, with the Renaissance, interest in classical Latin as a means of artistic and literary expression grew. Many ancient manuscripts were re-discovered and appreciated during this time.
Latin continues to be important in scientific, medical and legal terms, which allow easy comprehension in the various western languages. For example, Latin is fre­quently used in medical terminology, such as “bacterium”, “umbilicus”, “cerebellum”, etc. Latin was used in creating the scientific names for flora and fauna.  After the Dark Ages, from the twelfth century on, the economic and social development in Europe led to the rediscovery of Roman law, which was then assimilated by many European countries. Still today, we use terms like “modus operandi, “habeas corpus, “veto”, “quid pro quo”, “ad hoc” and “ipso facto.”

The Latin language is the bedrock of the language of Western Civilization. Modern students find that having a basis in Latin is useful for learning Romance languages, and even to improve their vocabulary in English.


Inscription from the time of emperor Claudius
As you are walking in Rome, you naturally see Latin inscriptions in the Forum and on ancient monuments like the Pantheon. A place to see more, where they are described in context, is at the the Terme di Diocleziano (Baths of Diocletian) in front of the Termini station. (This is described in the book WALK ROME as part of Walk 6.)

The museum includes an epigraphy section dedicated to Latin inscriptions, including vases, sarcophagi, tombstones and objects worked in metal. The ground floor includes the most ancient writings in Latin and in Greek in Italy. Among the most important are ceramic fragments with the writing REX (Latin for “king”), found near the Regia in the Roman Forum, and the dedica­tions to Castor and Pollux found near Lavinio, a town near Rome. Also on the ground floor are inscrip­tions which describe the popular asso­ciations in “colleges of occupations” which, according the historian Plu­tarch, go way back to the king Numa, that is to the sixth century BC. There are traces of writing of merchants and artisans, freemen and slaves, butch­ers and sellers of flowers, flutists, and associations for actors and singers.


Friday, July 5, 2019

 Paperino, che piace tanto perché è l’anti Topolino

 Il famoso personaggio compie 85 anni: intervista a Emanuele Virzì, fumettista e disegnatore 

Carattere scorbutico, irritante e scontroso ma riesce comunque a catturare il pubblico. Paperino rappresenta lo specchio della contemporaneità con i suoi modi irritanti e abrasivi? "Sono sicuro che Paperino sarebbe il più votato... e lo è stato di recente, sulla pagina Facebook del Papersera! E poi non dimentichiamo che si chiama Donald, non penserete mica che sia una coincidenza!!!" 


“Eh? Cosa? 60 centesimi? No! Ma per chi mi avete preso? Per il ministro del tesoro?” è una delle tante frasi storiche di Paperino, conosciuto negli USA con il nome di Donald Duck, personaggio Disney che il 9 giugno ha festeggiato 85 anni. Il papero più famoso del mondo, che fa impazzire grandi e piccini, esordiva per la prima volta il 9 giugno del 1934 nel corto animato “The Wise Little Hen” (La Gallinella Saggia). Quella di Paperino doveva essere inizialmente un’apparizione unica, occasionale per il singolo corto e nessuno certamente si aspettava che quell’esordio sarebbe stato l’inizio di una lunga e gloriosa carriera. Paperino piace subito, perché rappresentava l’antitesi perfetta di Topolino ed era in grado di fare tutto ciò che a quest’ultimo non era concesso. Il papero infatti si è sempre contraddistinto per il suo carattere vivace e sopra le righe; buffo e irascibile di fronte alle piccole cose. La pigrizia e le continue frustrazioni della vita quotidiana hanno sempre camminato a braccetto con la sua scarsa disponibilità economica. 

Paperopoli, ideata da Carl Barks, è una immaginaria metropoli di 1.316.000 abitanti con molti quartieri e uno sviluppo industriale avanzato. La città è situata nel Colisota, immaginario luogo degli Stati Uniti in cui risiede Paperino con la sua Paperina, Paperon de’ Paperoni e Nonna Papera. Forse Barks ha ideato Paperopoli mentre osservava Morro Bay, una splendida città costiera situata nella contea di San Luis Obispo in California. 

Angelo Barraco ne ha parlato con Emanuele Virzì, fumettista e disegnatore presso la Panini Comics Italia e Topolino Magazine.

Paperino ha compiuto 85 anni. Il papero più famoso del mondo con il vestito da marinaretto, il fiocco rosso, il carattere burbero e il cuore d’oro conquista ancora oggi il cuore di grandi e piccini di ogni parte del mondo. Cosa rappresenta Paperino nella cultura popolare italiana e americana?
“Prima di tutto tanti auguri a Paperino! Per come la vedo io il suo grande successo è dovuto al fatto che c’è un po’ di paperino in tutti noi, in qualsiasi angolo del globo. E poi è tra i personaggi più popolari della storia del fumetto, più dello stesso Topolino, che ospita le sue storie tra le sue pagine”.

La vita di Paperino si svolge in un contesto sociale abbastanza industrializzato ed evoluto. Secondo te Paperino è figlio della contemporaneità? Quanto ha influito il progresso di ogni giorno nelle storie fantasiose di Paperino?
“In realtà più che essere figlio della contemporaneità Paperino, come gli altri, è un personaggio al passo coi tempi, gli usi e le tecnologie, ma senza snaturare le proprie caratteristiche principali. Quando leggevo Topolino negli anni 90 i personaggi battevano a macchina e avevano il telefono fisso, adesso utilizzano dei portatili e i cellulari (e invece dei giornali, gli iPad). 
Paperino con iPad

Come ti sei avvicinato al mondo del fumetto e soprattutto a quello di Topolino?

“Possiamo dire che ci sono nato. Io non ne ho memoria ma i miei parenti raccontano che fin da piccolissimo ho sempre avuto Topolino per le mani, ancora non parlavo bene ma farfugliavo qualcosa all’edicolante che si trovava in centro a Trapani e lui sapeva che volevo il Topolino della settimana. Grazie alla rivista ho imparato a leggere prestissimo e copiando le pagine a disegnare. L’idea di voler fare il fumettista è venuta abbastanza naturale col passare del tempo”.
 
Topolino 3289 – Paperino e l’app da un milione di dollari (Deninotti-Virzì)

Qual è il rapporto che hanno gli italiani con il mondo del fumetto e quale invece quello che hanno gli americani?
“Diciamo che è un argomento un po’ complesso da poter riassumere in poche righe, Topolino è un prodotto tutto italiano che viene anche importato all’estero, America compresa (una storia disegnata da me è stata pubblicata questo Aprile in Brasile), ma non dimentichiamo che le origini dei fumetti di Topolino e Paperino vengono dagli USA (vedi Gottfredson e Barks). Purtroppo per come la vedo io il fumetto in Italia è considerato da buona parte della popolazione una cosa per bambini, ma non è affatto così. Spero che le cose possano migliorare”.


Come vedi Paperino tra 80 anni?
“Io vedo un giovane papero 165enne con lo spirito di sempre!”

Carattere scorbutico, irritante e scontroso ma riesce comunque a catturare il pubblico. E’ sempre stata questa l’arma vincente di Paperino. Anche quella di molti politici italiani e americani. Pensi che Paperino rappresenti lo specchio della contemporaneità con i suoi modi irritanti e abrasivi?
“Sono sicuro che Paperino sarebbe il più votato… e lo è stato di recente, sulla pagina Facebook del Papersera! E poi non dimentichiamo che si chiama Donald, non penserete mica che sia una coincidenza!!!”

Sunday, June 9, 2019


L'ANGOLO DELLA POESIA.

L'amore permea l'universo e invade l'intimo di chi lo accoglie. L'amore non ha tempo, non fa preferenze, non discrimina. L'amore vede la luce dove gli altri sembrano vedere la notte, l'amore è l'eterno desiderio di ogni cuore.


L'amore

Corre sul filo del tempo
quel giorno
antico e sempre nuovo
che come un fiore
è rivolto verso il sole
in tutte le stagioni della vita.

Eti Blu



E qui c’è un’altra in dialetto romanesco.
E' un po’ lunga e, forse, se riuscirete ad arrivare alla fine potrebbe esservi utile.
E' una regola di vita molto molto semplice e di facile applicazione.
Mi auguro che vi serva e che ne facciate buon uso.


+10

E’ da sempre
che noi omini
ragionamo
der passato
der presente
e der futuro
Ce famo
sopra filosofia
e intanto
er tempo
è sicuro
nun te guarda
e corre via
Tu pischello
co fare
irriverente
me chiedi
………….
e tu come
te regoli
che fai tanto
er sicuro
e sembra che
sai tutto de sto
futuro?
Nun m’andrebbe
ma te
risponno
che c’ho
un segreto
uso a regola
der +10
così semplice
che nun te toje
certo er sonno
Tu insisti
bertuccia
impertinente
…………….
ma che vor dì
a nonno?
E io penso
………….
Ma chi t’è
stato mai
parente?
………...
Te risponno
o stesso
me vojo
toje sta
soddisfazione
……………...
Basta che tu
aggiungi +10
all’anni tua
e li poni
bene a mente
A nonno
(ce rifamo)
ma che vor dì
io c’ho 10 anni
si aggiungo 10
a che me serve?
Te serve
a capì che
a somma fa 20
e che c’hai tutto
er tempo che voi
e si te va
poi anco rimannà
Ma pe fa che
c’ho tempo?
Pe pija
na decisione
Quale?
Una quarsiasi
sarai puro
jovane ma
certo sei
un po cojone
Fa conto invece
che c’hai 40 anni
si aggiungi 10
c’hai già
da pensà
sei incerto
e forse
è er caso
che nun poi
più procrastinà
e magara è mejo
che te dai da fa
Ner caso mio
si aggiungo 10
ai mia 64 anni
me vié 74
e si devo
fa na cosa
so pe certo
che me devo
da na spicciata
prima che arriva
l’urtima sonata

Marval

Sunday, May 12, 2019


Artemisia Gentileschi, pittrice contro la violenza sulle donne

Stuprata da un pittore e illusa in continuazione, riuscì ad affermarsi nonostante soprusi e maldicenze, ancora oggi è considerata un simbolo del femminismo

29 marzo 2019 - È stata la prima pittrice a portare nell’arte i soprusi sulle donne nel XVII secolo, trasformando la violenza in bellezza. Grazie al suo coraggio e alle sue doti, Artemisia Gentileschi ha sfidato le consuetudini del suo tempo e oggi è ricordata non solo come un’artista speciale ma anche come un simbolo del femminismo.

Nata a Roma l’8 luglio 1593 dal pittore Orazio Gentileschi e da Prudenzia Montone, Artemesia mostrò sin dalla tenera età uno spiccato talento pittorico, ereditato dal padre – importante esponente di scuola cavaraggesca – e coltivato proprio nel suo studio. Qui a 17 anni realizzò la sua prima opera, Susanna e i vecchioni, nella quale viene ritratta una donna mentre fa il bagno insidiata da due uomini ai quali cerca di sfuggire. Il tema della condizione della donna in quell’epoca ricorre prepotentemente nei suoi lavori.
‘Susanna e i Vecchioni’, 1610
La spensierata pratica presso la bottega del padre terminò nel 1962, a causa del dramma che la sconvolse un anno prima, quando fu violentata dal pittore Agostino Tassi. All’epoca esisteva la possibilità di estinguere il reato di violenza carnale qualora fosse seguito dal matrimonio riparatore tra l’accusato e la persona offesa. Per questo, Artemisia continuò a intrattenere una relazione con Tassi, nella speranza che le nozze salvassero la sua reputazione. Speranze disattese, quando la ragazza scoprì che Tassi era già sposato. Decise dunque di intentare un processo nei confronti del suo stupratore. La sua deposizione fu fatta sotto tortura, mentre le venivano schiacciate le dita. È a questo periodo che risale una delle sue opere più note: Giuditta che decapita Oloferne (1612 – 1613). Salta all’occhio il diverso ruolo della donna. Se in Susanna e i vecchioni era una vittima, qui agisce e si vendica.
Giuditta che decapita Oloferne (1612 – 1613)
Dopo la conclusione della vicenda giudiziaria, Artemisia dovette combattere a lungo contro i pregiudizi e le false voci messe in giro sul suo conto: venne accusata di rapporti incestuosi con il padre Orazio, di avere numerosi amanti ed una condotta disdicevole. Lasciò Roma e per mettere a tacere le maldicenze il giorno dopo la fine del processo sposò un artista fiorentino, Pierantonio Stiassesi.

Il suo talento e la sua volontà le permisero di ottenere grandi risultati e di entrare nell’Accademia del Disegno, prima donna in assoluto a ricevere questo onore. In quegli anni realizzò alcune delle sue opere più celebri – La conversione della Maddalena (1615-1616) e la Giuditta con la sua ancella (1625-1627) – che hanno come tema donne coraggiose e determinate come le eroine bibliche. Ebbe due figlie ma nel 1621, mostrando ancora una volta il suo spirito indipendente, lasciò il marito e tornò a Roma. Le difficoltà lavorative però la spinsero nel 1630 a spostarsi prima a Venezia e poi a Napoli, dove – a parte una parentesi a Londra per lavorare insieme al padre – rimase fino alla morte, avvenuta nel 1653.

Numerosi critici hanno interpretato le opere della Gentileschi in chiave “femminista”. Si può anche notare un’evoluzione nel ruolo della donna: da sottomessa e perdente rispetto alla figura maschile a forte e capace di vendicarsi e di trionfare sull’uomo. Segno che la violenza subita lasciò ferite profonde in Artemisia e che usò l’arte come terapia. Per questo, Artemisia è considerata anche oggi un esempio di donna capace di affermarsi nella società, nonostante le ingiustizie e i soprusi.

Wednesday, May 1, 2019


Da Vinci e Noi


Le intuizioni e scoperte di Leonardo da Vinci erano tutta farina del suo sacco?  Grandi scienziati come da Vinci, Galileo e Einstein si sono poggiati sulle spalle dei geni dei secoli precedenti fino alla cultura greca tra il quarto e il secondo secolo AC.

Sapiens – un solo pianeta: il metodo del genio, un programma di RAI 3 del 27 aprile esamina queste tematiche.

Segue l'articolo della rivista The Economist “Leonardo e noi” che fa luce sui motivi che rendono da Vinci ancora più da ammirare, oggi nel 21 esimo secolo.  Tra l’altro era un risoluto vegetariano!



IN THE NORTHERN Italian city of Treviso, a Polish pianist, Slawomir Zubrzycki, sits down at an instrument that resembles a harpsichord and starts pumping a pedal with his right foot. As his hands float over the keyboard, the sound reaching his audience is as singular as it is beautiful: simultaneously reminiscent of the harpsichord, organ and a string quartet. The instrument is based on sketches Leonardo da Vinci made in his notebooks of a “viola organista” with the dream of simulating a viola ensemble that could be played from a keyboard. Hitting one or more keys brings the same number of strings inside the casing into contact with one of four bow-wheels spun by the pedal.





In the Antico Setificio Fiorentino, Italy’s oldest working silk mill, Beatrice Fazzini turns by hand a vertical warper: a cylindrical machine that prepares yarn for weaving. It was constructed in 1786 and is based on a design by da Vinci that Stefano Ricci, the fashion house which owns the mill, says has been used in Florence since da Vinci was alive. If that is indeed so, it was one of his very few inventions that had a practical application.

Like many an autodidact, da Vinci was long on inquisitiveness but short on intellectual self-discipline. He had astonishing powers of observation, an extraordinary talent for making connections between different areas of knowledge, a readiness to challenge contemporary beliefs and an uncanny ability to anticipate future discoveries. But his life yielded an endless succession of untested contraptions, unpublished studies and unfinished artworks.




Anniversaries are normally opportunities for reappraising the legacy of the great man or woman concerned. Da Vinci’s highlights the fact that, outside the field of painting, his legacy—as distinct from his genius—was modest. He had brilliant intuitions in fields as diverse as anatomy and hydraulics, but because he failed to publish his theories and findings, hundreds of years were to pass before they were discovered by someone else.


Even his artistic oeuvre, though sublime, is minute. Fewer than 20 finished works are generally attributed to da Vinci. He failed to complete some of his most important commissions such as the “Adoration of the Magi”. His ill-fated experimentation with materials ruined others, including “The Last Supper”. Hence the paucity of exhibitions devoted to his art in what should be his year of years. Florence is commemorating him with a show devoted to his master, Verrocchio.

Born out of wedlock in 1452, the son of a notary and a peasant woman, da Vinci had a lonely childhood and—probably left-handed and almost certainly gay—grew up something of a misfit. He spent much of his life outside his native Tuscany in Milan, Rome and finally France as the guest of King Francis I. He died at Amboise in 1519.

Such is the status he has acquired as the definitive, universal genius that the few questions raised in his quincentenary year are being put almost surreptitiously, as in a show at the Scuderie del Quirinale in Rome that largely comprises models based on da Vinci’s designs. It opens with a display of treatises and often exquisite drawings by other Tuscan artist-engineers, including Francesco di Giorgio Martini, that show da Vinci was far from unique in combining technology with painting—and that some of his peers managed to get a lot more built or printed than he did.

Paradoxically, the most direct applications of da Vinci’s researches outside art are to be found within his art. His understanding of physics, botany and geology vastly enhanced his painting. His study of light enabled him to develop sfumato, the technique that gives the outlines of his subjects their naturally undefined quality. “And if he hadn’t studied anatomy, he wouldn’t have been able to paint the most enigmatic smile in the history of painting,” says Fiorenzo Galli, the director-general of the Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci in Milan.

The “Mona Lisa” has become the world’s best-known painting. Da Vinci’s “Vitruvian Man” is the world’s best-known drawing. Does that make him the greatest artist in the Western tradition? Even Professor Kemp, who has spent a lifetime studying da Vinci’s achievements, hesitates to go that far, stressing instead the Tuscan master’s huge influence on other painters.

“If you were looking for someone who did as much to divert the stream of art, then you would have to keep searching until you came to Picasso,” he says. Da Vinci revolutionised Madonna and Child compositions, and altered the portrayal of narrative subjects and the way portraits were composed. Jonathan Nelson, who teaches art history at Syracuse University in Florence, notes that he was also the first artist to give women realistic bodies “with anatomically identifiable musculatures, but looking soft and feminine”.

The notion that da Vinci stands alongside Michelangelo and Raphael at the very pinnacle of artistic achievement is nonetheless relatively modern. Until well into the 19th century, he was seen as a genius, but on a level below the others. As Donald Sassoon, a British historian, has recounted in his book, “Becoming Mona Lisa”, published in 2001, it was anti-clerical French historians who initiated the “cult of Leonardo”, seeing in him an ally in the fight against religious obscurantism: “He was not afraid to dissect corpses; he did not paint halos on his religious figures…Unlike Raphael and Michelangelo, he was never the servant of popes. He put Man at the centre of creation.”

Those and other factors have endeared him to a wider, contemporary public. Da Vinci abhorred the slaughter of animals and was probably a vegetarian. He satisfies the modern requirement for artists to be outsiders with an eccentric streak. And his creative record chimes perfectly with the spirit of an age that tolerates, even venerates, unfinished work—all the more so if it is cryptic. Surveying the events this year to celebrate da Vinci’s genius, Professor Nelson says “I think these shows tell us more about us than about him.”

This article appeared in the Books and arts section of the print edition under the headline "Leonardo and us"

Friday, April 19, 2019

Parola del Giorno: Sfizio


Togliersi qualche sfizio, (satisfy a quirky need) or even mangiare qualcosa di sfizioso (eating something tasty and indulgent) are popular expressions indeed in the Italian language. 

Sfizio is one of those words we use continuously, yet without really knowing anything about its origins. And so, it is surprising to learn it probably has southern roots, possibly Neapolitan, and that its use was attested for the first time at the very end of the 19th century. 
 Difficult to believe, though, that we Italians never had sfizi to satisfy before then: indeed we would just call them differently, using words like capriccio, which in English is “whim” or “fancy,” the same terms you would use to translate sfizio, too. 

As uncertain as its etymology may be, linguists had fun coming out with several theories: to some, sfizio is the deformation of the term uffizio, old fashioned Italian for “duty,” to which an “s” was added to indicate the contrary of what the word meant. So sfizio would mean, quite literally, absence of duties or, well… time for fun. Others, probably more attached to the glorious Latin origins of our language, wants sfizio to derive from the verb satisficere, which is nothing more than “satisfy.”

Whichever version you prefer, the concept behind the word is clear: a sfizio is a pleasure, something you don’t need but want desperately. It is the chocolate dessert after two servings of carbonara, the glass of wine while watching TV in the evening, a new pair of too-expensive shoes, the latest version of a smartphone. 

Lo sfizio, mind, is always something light and carefree, something you can have without hurting anyone. Lo sfizio is pure joy, cheers you up when you’re down and gives you energy when you’re tired. Because yes, it’s true: that chocolate dessert is so unnecessary when your stomach is that full, but oh my! The pleasure it’ll give you is worth alone a chest filled with gold.

 From the Italo-Americano | Apr 09, 2019

Saturday, April 6, 2019

L'ANGOLO DELLA POESIA.

Questa poesia è stata scritta da un amico che vive in Italia.  Quando visiti un luogo dove hai vissuto da giovane, per esempio quando vai in vacanze in Italia, stai nel presente o ricordi e rivivi il passato?


Da cosa può nascere una poesia? Non è facile dirlo. In prima battuta, direi che può essere espressione di tutto ciò che tocca la sensibilità di chi la scrive.
In questo caso, mi ha colpito questa storia che ha fatto recentemente il giro del web.
Un anziano porta la moglie (in foto) a guardare il mare.
"L'ho visto piangere e credo che uomini del genere non nascano più", scrive l'utente che ha immortalato l'uomo con una foto che ha poi diffuso sui social.
Da questa foto è nato un mio pensiero in versi che riporto qui di seguito.

IL CONFINE DEL MARE
Le spalle curve
portano il peso
del perduto
amore
Nel turchese
riflettono
un lontano
dolore
Nella mente
il ricordo
del suo
familiare
odore
Lo sguardo
all'orizzonte
dove si perde
il mare
Le parole
bruciano
lacerano
il cuore
Una foto
accanto
per mai
obliare

Marval

Monday, March 11, 2019

Gli Obelischi di Heliopolis: Roma, Londra e New York

Roma oggi risulta la città che ha il maggior numero di obelischi al mondo, esattamente 18, dislocati in punti particolari del territorio urbano. Di questi, 9 sono originari dell'antico Egitto, trasportati a Roma nel periodo imperiale, in seguito alle campagne di conquista nella terra dei Faraoni. Costituiti di basalto monolitico, erano considerati simboli solari, e collocati in coppia davanti alle entrate dei templi con incisioni commemorative sui lati. Altri vennero costruiti come imitazione, o, in tempi più moderni, per semplice decorazione, come la stele Marconi dell'EUR. Molti di essi furono interrati nel corso della storia, e riportati alla luce tra il Cinquecento e il Settecento. In seguito vennero spostati e disposti in punti strategici della città, spesso su monumenti creati appositamente da grandi scultori come Gian Lorenzo Bernini, per esempio la Fontana dei Quattro Fiumi a Piazza Navona.


La maggior parte di essi venivano da Heliopolis (Eliopoli), una città dell'antico Egitto situata in prossimità del delta del Nilo. Era il centro del culto del dio Sole, e raggiunse il massimo sviluppo durante il Nuovo Regno, a partire dal 1570 ca. a.C., specialmente sotto il faraone Ramesse II (XIII sec. a.C.). Obelischi di Heliopolis sono stati anche trasportati in tempi più moderni in altre città, come Londra e New York.

Obelisco Flaminio (Piazza del Popolo). Proviene da Heliopolis, dove fu innalzato davanti al Tempio del Sole dai Faraoni Seti I e Ramsete II poco prima del 1200 a.C. Fu uno dei primi ad essere trasportato a Roma da Augusto nel 10 a.C., per celebrare la vittoria sull'Egitto, e fu inizialmente utilizzato come spina nel Circo Massimo per le corse dei cavalli.

L’obelisco di fronte al Pantheon di granito rosso fu eretto ad Heliopolis nel 1200 a.C. circa da Ramsete II davanti al Tempio di Ra, e venne portato a Roma per abbellire il tempio dedicato ad Iside e Serapide eretto in Campo Marzio. Si erge al centro di una fontana costruita nel 1578 da Giacomo Della Porta caratterizzata da quattro mascheroni che emettono getti d’acqua su una vasca.

L’Obelisco di Dogali, eretto ad Heliopolis da Ramsete II e portato a Roma nel tempio di Iside, fu rinvenuto nel 1883 in Via di Sant'Ignazio. Venne restaurato ed utilizzato, quattro anni dopo, per il monumento commemorativo dei caduti della battaglia di Dogali, in Etiopia (1887).

L’obelisco di fronte al Palazzo di Montecitorio (sede della Camera dei deputati) venne costruito nel VI sec. a.C. per il faraone Psammatico II, e proviene da Heliopolis, dove venne fatto prelevare per volere di Augusto nel 10 a.C. L'imperatore decise di utilizzarlo come gnomone per l'enorme meridiana che aveva fatto realizzare in Campo Marzio, a nord dell'attuale piazza del Parlamento.

Posto al centro della famosa piazza progettata dal Bernini, l'obelisco Vaticano è un monolito a fasce lisce, di granito rosso, alto più di 25,367 metri, che con il basamento e la croce posta alla sua sommità raggiunge i 40,285 m. Proveniente da Heliopolis, fu portato a Roma per volere di Caligola nel 37 d.C., per decorare il Circo di Nerone, situato nell'area dell'attuale sagrestia della Basilica. Restò eretto a lato della basilica finché Sisto V, nel 1586, lo fece spostare da Domenico Fontana dove è ora.

L'obelisco Mattei, noto anche come "Obelisco Capitolino" visto che fino al 1952 si trovava in Campidoglio, proviene da Heliopolis, dove era dedicato al Sole dal faraone Ramsete II. Fu trasportato a Roma in epoca imperiale e posto nel Tempio di Iside Capitolina, e successivamente ai piedi dell'Aracoeli.  Adesso si trova nel parco di Villa Celimontana.

L’Ago di Cleopatra è il nome di due obelischi in granito rosa di Assuan, situati uno a Londra, lungo il Tamigi sul Victoria Embankment, e l'altro nel Central Park di New York. Anche se entrambi sono obelischi originari dell'antico Egitto, il loro nome comune è errato, perché non hanno alcuna connessione con la regina tolemaica Cleopatra VII d'Egitto, nata più di mille anni dopo la loro realizzazione. Furono infatti costruiti durante il regno del faraone Thutmose III (XV secolo a.C.) e originariamente eretti a Heliopolis. Vennero poi trasportati ad Alessandria d’ Egitto dai romani per ordine dell'imperatore Augusto. Nel 12 a.C. furono eretti all'ingresso del Caesareum, un tempio fatto costruire da Cleopatra VII. Da qui uno fu trasferito a Londra nel 1878 e l’altro a New York nel 1881.

YouTube di Alberto Angela sugli obelischi di Roma

Monday, February 4, 2019

Sanremo 2019 | Cantanti | Canzoni | Claudio Baglioni | Tutte le notizie

Sanremo 2019 | Cantanti | Canzoni | Claudio Baglioni | Tutte le notizie

Il Festival di Sanremo 2019 comincia domani 5 febbraio

Dal 5 al 9 febbraio, in diretta su Rai 1 dal Teatro Ariston, la 69esima edizione del Festival della Canzone Italiana, la seconda consecutiva condotta da Claudio Baglioni



Tutto pronto per il Festival di Sanremo. Il 5 febbraio 2019 si aprirà il sipario del Teatro Ariston, dove andrà in scena la 69esima edizione della kermesse musicale, che vede per il secondo anno consecutivo la direzione artistica di Claudio Baglioni. Grande novità la gara unica: non ci sarà più, infatti, la divisione tra Campioni e Nuove Proposte, ma i 24 artisti (22 Big e i 2 vincitori di Sanremo Giovani) concorreranno alla pari per la vittoria.

Sanremo 2019 - Date

La 69esima edizione del Festival di Sanremo va in scena da martedì 5 febbraio a sabato 9 febbraio. Cinque prime serate in onda su Rai 1 e in Eurovisione, in cui si sfidano i 24 cantanti in gara.

Sanremo 2019 - Conduttori

Al posto di Michelle Hunziker e Pierfrancesco Favino, mattatori della scorsa edizione, Claudio Baglioni quest'anno ha voluto accanto sul palco dell'Ariston Claudio Bisio e Virginia Raffaele. I due comici, per la prima volta insieme su un palco e in tv, promettono gag inedite e tanto divertimento, senza però rubare la scena alla gara. Probabile, come annunciato in conferenza stampa, l'arrivo di un quarto co-conduttore ma solo per una serata. Tra tanti nomi si fa sempre più spazio quello di Claudio Santamaria.

Sanremo 2019 - Il programma delle cinque serate

Nella prima serata, martedì 5 febbraio, si esibiranno tutti e 24 i cantanti in gara. Seconda e terza serata, invece, vedranno sul palco solo la metà di loro: 12 mercoledì 6 febbraio e gli altri 12 giovedì 7 febbraio. La quarta serata, venerdì 8 febbraio - sul modello già collaudato lo scorso anno - sarà una serata-evento in cui ogni artista canterà in compagnia di un ospite il proprio brano, in una versione rivisitata per l'occasione.

Sanremo 2019 - I cantanti in gara

Sono 24, 22 big ai quali si aggiungono i due vincitori di Sanremo Giovani, che decretati venerdì 21 dicembre: Einar con ‘Centomila volte’ e Mahmood con ‘Gioventù bruciata’.
Ecco i nomi dei big in gara: Loredana Bertè con 'Cosa ti aspetti da me', Il Volo con 'Musica che resta', Ghemon con 'Rose viola', Paola Turci con 'L'ultimo ostacolo', Simone Cristicchi con 'Abbi cura di me', Nek con 'Mi farò trovare pronto', Motta con 'Dov'è l'Italia' , Irama con 'La ragazza col cuore di latta', Ultimo con 'I tuoi particolari', Anna Tatangelo con 'Le nostre anime di notte' e Zen Circus con 'L'amore è una dittatura', Nino D'Angelo in coppia con il giovane rapper Livio Cori con 'Un'altra luce', Ex Otago con 'Solo una canzone', Patty Pravo e Briga con 'Un po' come la vita', Boomdabash con 'Per un milione', Francesco Renga con 'Aspetto che torni', Arisa con 'Mi sento bene', Achille Lauro con 'Rolls Royce', Daniele Silvestri con 'Argento vivo', i Negrita con 'I ragazzi stanno bene', Enrico Nigiotti con 'Nonno Hollywood', Federica Carta e Shade con 'Senza farlo apposta’ e Mahmood con "Soldi".