Perché
diciamo le parolacce e quante sono?
Per Sigmund Freud, padre della psicanalisi,
"colui che per la prima volta ha lanciato all’avversario una parola
ingiuriosa invece che una freccia e stato il fondatore della civiltà”.
Altri scienziati si sono spinti oltre: forse la
prima parola dell’uomo fu... una parolaccia. L’ipotesi è dell'etologo Irenaus
Eibl-Eibesfeldt: per lui gli insulti sono stati il più importante motore nello
sviluppo del linguaggio, perché hanno aiutato a risolvere gli scontri in modo
non cruento: "Se si toglie a un partner un oggetto con un gesto di
minaccia, ciò provoca una reazione diretta. Usando le parole, invece,
un'espressione di minaccia apre una discussione che può condurre alla soluzione
del conflitto senza degenerare in atti violenti". Anche se, a volte gli
insulti innescano risse...
Le parolacce, del resto, hanno una storia
millenaria: compaiono già nella saga di Gilgamesh, il più antico poema della
storia (2000 a. C). San Francesco d’Assisi è il primo santo a cui è attribuita
una parolaccia. Nei Fioretti dice a un demonio “Apri la bocca: mo’ vi ti caco.”
Non stupisce quindi, che oggi le parolacce siano
state depenalizzate: la legge 205 del 1999 ha preso atto che le volgarità sono
entrate nel linguaggio di tutti e non sono più un'offesa alla pubblica decenza.
Del resto si stima che in tv si dica una parolaccia ogni 21 minuti... Il
vocabolario Zingarelli ne conta 301 però se includiamo le espressioni composte,
“porco Giuda”, e dialettali si arriva
intorno alle 3000.
A rischio
di galera
Eppure, altre 30 leggi puniscono le parolacce
(dall’oltraggio all’ingiuria), prevedendo fino a 5 anni di carcere per chi
insulta (vilipende) il presidente della Repubblica o un giudice. E fa sempre
scandalo quando qualcuno dice una bestemmia in tv...
Ma perché le parolacce hanno tanto potere? Perché
si può dire feci, escrementi, pupù, cacca, ma se si dice merda si è tacciati di
maleducazione? Per rispondere, bisogna definire che cos'e una parolaccia e che
cosa la distingue dalle altre parole. L’impresa è difficile, persino per i
linguisti. Timothy Jay, psicolinguista al Massachusetts College of liberal Arts
di North Adams (Usa) e uno degli esperti mondiali sul tema, ha detto che le
parolacce sono le ultime "parole magiche" rimaste all’uomo, perché
consentono di ottenere 8 effetti che con le altre parole non si possono
conseguire. Ecco quali.
1. Sfogarsi: Quando esclamiamo Cazzo! Merda! Riusciamo a tradurre in
parole emozioni così violente da essere inesprimibili: rabbia, frustrazione,
sorpresa, paura … Così possiamo sfogare la nostra aggressività contro un
oggetto o una situazione, evitando che il surplus di energia dell’ira si
ritorca contro di noi. Molti disturbi psicosomatici come l’ipertensione o la
colite possono dipendere da rabbia inespressa.
2. Eccitare:
Una parolaccia su due è un’oscenità: parla di sesso in modo esplicito. A
differenza dei nomi scientifici (glutei),
le parole oscene (culo) riescono a
far “immaginare la parte del corpo di cui si parla”, disse Freud.
3. Esprimere
disgusto: Il fascino di pipì e pupù ha radici antiche: sono il nostro
primo “prodotto”. Fu solo la vita sociale a trasformare le feci in oggetto di
disgusto, per il timore che il loro uso incontrollato mettesse a rischio
l’igiene. Ecco perché quando parliamo di cacca, oscilliamo fra l’infantile e la
repulsione.
4.
Divertirsi: “Caro, ho l’impressione che tu sia meno dolce con me”. “Ma
che cazzo dici, sei rincoglionita?” Senza le parolacce non
farebbe ridere: le volgarità, infatti, sono un ingrediente essenziale
dell’humour.
5.
Avvicinarsi: Perché se diciamo a un caro amico “Ciao, vecchia troia” lui non si offende? Perché dal
tono di voce capisce che quell’insulto è detto in senso affettuoso.
6. Attirare
l’attenzione: Fa una grande differenza dire: “Che cosa vuoi?” e “Che cazzo vuoi?” Nel secondo caso, la
parolaccia funge da rafforzativo: serve a informare sul proprio stato di
irritazione, sfruttando l’intensità emotiva del termine sessuale. Si usa uno
choc verbale per attirare l’attenzione, provocare, minacciare. “Quella cazzo di stampante!”
7.
Offendere e maledire: Prendiamo un insulto diffuso: “Faccia di merda”. Con questa espressione si
abbassa la parte più nobile del corpo, il viso (specchio dell’anima), al
livello più infimo: l’escremento, l’oggetto più repellente e privo di valore.
Gli insulti, infatti, funzionano così: esprimano una degradazione, un
abbassamento fisico, cioè lo spostamento dalla nobiltà della testa all’oscena
materialità dei genitali (“Testa di cazzo”)
o al deretano (“Faccia da culo”) oppure
la degradazione ad animale (somaro) o
vegetale (zuccone).
8. Emarginare:
Le parolacce non si usano solo per abbassare l’autostima di un avversario.
Possono avere un effetto ancora più dirompente: scomunicarlo, ovvero
emarginarlo da un gruppo bollandolo come “diverso”, anormale, fuori legge: bastardo, terrone, puttana, frocio, porco,
rompicoglioni.
In sintesi, le parolacce mettono a nudo, in modo
degradante e offensivo, le pulsioni fondamentali dell’uomo. E in questo modo
evocano il timore della morte, perché rappresentano in modo diretto gli aspetti
più delicati e vitali dell’esistenza. Le parolacce (e i relativi limiti d’uso)
sono infatti un prodotto della convivenza sociale.
D’altronde, che modo sarebbe senza parolacce? Cosi’: «Suina prostituta! Mi sono rotto i
testicoli di queste multe di feci!» Volete mettere l’efficacia di «Porca puttana! Mi sono rotto le palle di queste multe di merda!»
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