Tuesday, November 17, 2015


Ferrante ha scritto il Grande Romanzo Americano?
Paolo Armelli, Wired blogger, Pubblicato novembre 12, 2015
Che i romanzi di Elena Ferrante siano un enorme successo commerciale negli Stati Uniti, dove sono conosciuti ormai come “the Napolitanean novels“, è ormai un fatto. Capire i motivi di questo successo è leggermente più complesso, perché si devono sommare più fattori e considerare anche la frammentazione del mercato editoriale americano. Ma se ne può dare anche una spiegazione di tipo socio-economico, oltre che letterario, come prova a fare Alissa Quart su BuzzFeed.
Secondo Quart, che si occupa di un’associazione che supporta lo studio giornalistico delle condizioni lavorative di povertà, il focus è ovviamente sulle due amiche protagoniste, Elena e Lila, ma da una prospettiva prettamente “economica”: “Mentre la maggior parte dei critici e dei commentatori si è concentrata sul ritratto dell’amicizia contrastata ma duratura fra le due donne, credo che questi libri catturino l’attenzione dei lettori americani per via dell’incredibile scalata sociale delle protagoniste“.
Insomma, nel più classico tema dell’American Dream, i romanzi di Ferrante hanno sbancato negli States proprio perché raccontano la mobilità sociale, tema che oggi è quasi mitologico perfino oltreoceano. Figlie rispettivamente di un usciere e di un calzolaio, Elena e Lila hanno, fin dalla quinta elementare, come obiettivo il benessere: ci riusciranno l’una sposandosi “bene” e intraprendendo la carriera intellettuale grazie alle conoscenze del marito, l’altra superando varie traversie e buttandosi nel boom tecnologico degli anni Sessanta.
Un’altra epoca, appunto, ma che può ben essere correlata all’America dei giorni nostri. Un commentatore citato da Quartz dice infatti: “Anche se ambientata in un tempo e in un luogo specifici (la Napoli degli anni Cinquanta), la saga rappresenta gli effetti universali che la povertà comporta nella vita delle persone: parla dunque anche delle zone rurali e dei ghetti urbani degli USA nel 2014“.
Le scalate sociali e la possibilità di “redimersi” da una condizione di povertà estrema sono temi che si riscontrano nei romanzi di Ferrante ma che sono divenuti una rarità nella letteratura americana. C’è piuttosto la preoccupazione di narrare come la crisi minacci o faccia effettivamente perdere le posizioni di vantaggio ottenuti nei decenni precedenti: perfino il recente Purity di Jonathan Franzen, considerato l’erede più significativo del Grande Romanzo Americano, sembra noncurante di questi argomenti.

Eppure, afferma Quartz, “ci sarebbe una grande letteratura che attende di essere scritta sulle persone congelate nella loro posizione a causa delle loro origini, del loro salario, del loro lavoro“. E ancora di più si potrebbe dire su coloro che intraprendono strade tortuose per arrivare a essere, finalmente, “qualcuno”. In questa situazione non stupisce, dunque, che Elena Ferrante sia la scrittrice che tutti i lettori americani vogliono leggere. Perché i suoi libri rappresentano il romanzo di cui attualmente gli Stati Uniti sentono la mancanza.

Tuesday, November 10, 2015

Perché diciamo le parolacce e quante sono?

Il bello delle parolacce
Per Sigmund Freud, padre della psicanalisi, "colui che per la prima volta ha lanciato all’avversario una parola ingiuriosa invece che una freccia e stato il fondatore della civiltà”.
Altri scienziati si sono spinti oltre: forse la prima parola dell’uomo fu... una parolaccia. L’ipotesi è dell'etologo Irenaus Eibl-Eibesfeldt: per lui gli insulti sono stati il più importante motore nello sviluppo del linguaggio, perché hanno aiutato a risolvere gli scontri in modo non cruento: "Se si toglie a un partner un oggetto con un gesto di minaccia, ciò provoca una reazione diretta. Usando le parole, in­vece, un'espressione di minaccia apre una discussione che può condurre alla soluzione del conflitto senza degenerare in atti violenti". Anche se, a volte gli insulti innescano risse...
Le parolacce, del resto, hanno una storia millenaria: compaiono già nella saga di Gilgamesh, il più antico poema della storia (2000 a. C). San Francesco d’Assisi è il primo santo a cui è attribuita una parolaccia. Nei Fioretti dice a un demonio “Apri la bocca: mo’ vi ti caco.”
Non stupisce quindi, che oggi le parolacce siano state depenalizzate: la legge 205 del 1999 ha preso atto che le volgarità sono entrate nel linguaggio di tutti e non sono più un'offesa alla pubblica decenza. Del resto si stima che in tv si dica una parolaccia ogni 21 minuti... Il vocabolario Zingarelli ne conta 301 però se includiamo le espressioni composte, “porco Giuda”, e dialettali si arriva intorno alle 3000.

A rischio di galera
Eppure, altre 30 leggi puniscono le parolacce (dall’oltraggio all’ingiuria), prevedendo fino a 5 anni di carcere per chi insulta (vilipende) il presidente della Repubblica o un giudice. E fa sempre scandalo quando qualcuno dice una bestemmia in tv...
Ma perché le parolacce hanno tanto potere? Perché si può dire feci, escrementi, pupù, cacca, ma se si dice merda si è tacciati di maleducazione? Per rispondere, bisogna definire che cos'e una parolaccia e che cosa la distin­gue dalle altre parole. L’impresa è difficile, persino per i linguisti. Timothy Jay, psicolinguista al Massachusetts College of liberal Arts di North Adams (Usa) e uno degli esperti mondiali sul tema, ha detto che le parolacce sono le ultime "parole magiche" rimaste all’uomo, perché consentono di ottenere 8 effetti che con le altre parole non si possono conseguire. Ecco quali.
1. Sfogarsi: Quando esclamiamo Cazzo! Merda! Riusciamo a tradurre in parole emozioni così violente da essere inesprimibili: rabbia, frustrazione, sorpresa, paura … Così possiamo sfogare la nostra aggressività contro un oggetto o una situazione, evitando che il surplus di energia dell’ira si ritorca contro di noi. Molti disturbi psicosomatici come l’ipertensione o la colite possono dipendere da rabbia inespressa.
2.  Eccitare: Una parolaccia su due è un’oscenità: parla di sesso in modo esplicito. A differenza dei nomi scientifici (glutei), le parole oscene (culo) riescono a far “immaginare la parte del corpo di cui si parla”, disse Freud.
3.  Esprimere disgusto: Il fascino di pipì e pupù ha radici antiche: sono il nostro primo “prodotto”. Fu solo la vita sociale a trasformare le feci in oggetto di disgusto, per il timore che il loro uso incontrollato mettesse a rischio l’igiene. Ecco perché quando parliamo di cacca, oscilliamo fra l’infantile e la repulsione.
4.  Divertirsi: “Caro, ho l’impressione che tu sia meno dolce con me”. “Ma che cazzo dici, sei rincoglionita?” Senza le parolacce non farebbe ridere: le volgarità, infatti, sono un ingrediente essenziale dell’humour.
5.  Avvicinarsi: Perché se diciamo a un caro amico “Ciao, vecchia troia” lui non si offende? Perché dal tono di voce capisce che quell’insulto è detto in senso affettuoso.
6.  Attirare l’attenzione: Fa una grande differenza dire: “Che cosa vuoi?” e “Che cazzo vuoi?” Nel secondo caso, la parolaccia funge da rafforzativo: serve a informare sul proprio stato di irritazione, sfruttando l’intensità emotiva del termine sessuale. Si usa uno choc verbale per attirare l’attenzione, provocare, minacciare. “Quella cazzo di stampante!”
7.  Offendere e maledire: Prendiamo un insulto diffuso: “Faccia di merda”. Con questa espressione si abbassa la parte più nobile del corpo, il viso (specchio dell’anima), al livello più infimo: l’escremento, l’oggetto più repellente e privo di valore. Gli insulti, infatti, funzionano così: esprimano una degradazione, un abbassamento fisico, cioè lo spostamento dalla nobiltà della testa all’oscena materialità dei genitali (“Testa di cazzo”) o al deretano (“Faccia da culo”) oppure la degradazione ad animale (somaro) o vegetale (zuccone).
8.  Emarginare: Le parolacce non si usano solo per abbassare l’autostima di un avversario. Possono avere un effetto ancora più dirompente: scomunicarlo, ovvero emarginarlo da un gruppo bollandolo come “diverso”, anormale, fuori legge: bastardo, terrone, puttana, frocio, porco, rompicoglioni.

In sintesi, le parolacce mettono a nudo, in modo degradante e offensivo, le pulsioni fondamentali dell’uomo. E in questo modo evocano il timore della morte, perché rappresentano in modo diretto gli aspetti più delicati e vitali dell’esistenza. Le parolacce (e i relativi limiti d’uso) sono infatti un prodotto della convivenza sociale.

D’altronde, che modo sarebbe senza parolacce?  Cosi’: «Suina prostituta! Mi sono rotto i testicoli di queste multe di feci!» Volete mettere l’efficacia di «Porca puttana! Mi sono rotto le palle di queste multe di merda

Tuesday, November 3, 2015

Vuoi sapere il nome di un fiore o albero? Ci sono app gratis per questo!!

  
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Buon divertimento.