Wednesday, June 8, 2022

Ai figli, anche il cognome della madre.

Cosa cambia con la sentenza della Corte Costituzionale?

 Le norme che attribuiscono automaticamente il cognome del padre sono state definite illegittime. La nuova regola prevede che vengano assunti quelli di entrambi i genitori tranne nel caso in cui si decida di sceglierne solo uno, di comune accordo. Alcuni aspetti restano però da chiarire, motivo per cui si chiede di arrivare in fretta anche ad una legge sul tema.

 Mercoledì 27 aprile la Corte Costituzionale ha definito illegittime le norme che attribuiscono al figlio di una coppia il cognome del padre in modo automatico, con quella che è stata definita un’altra sentenza “storica”, nonché una “svolta di civiltà”. In un comunicato si legge che i giudici hanno ritenuto “discriminatoria” e “lesiva dell’identità del figlio” la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre e che, “nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento fondamentale dell’identità personale”.

Il caso

La Corte aveva già espresso delle perplessità sull'automatismo riguardante il cognome e lo scorso gennaio lo aveva definito "retaggio di una condizione patriarcale della famiglia". A questa sentenza si è però arrivati perché la Consulta è stata chiamata a farlo nell’ambito di un procedimento, partito nel 2020 a Lagonegro, in Basilicata. Quell’anno una coppia si era rivolta al tribunale perché voleva dare al figlio solo il cognome della madre, così che questo potesse condividere lo stesso cognome dei fratelli, ma la legge non lo consentiva. Gli altri ragazzi lo avevano infatti acquisito solo perché erano stati riconosciuti successivamente dal padre, mentre l’ultimo arrivato era nato nel matrimonio. Come ha ricostruito il loro legale, i primi tentativi della coppia sono stati vani, ma i coniugi non si sono arresti e hanno fatto appello contro la decisione di primo grado. Proprio durante il nuovo processo, la questione è stata rimessa alla Corte costituzionale. “È inutile nascondere la soddisfazione per questo risultato, è stato un percorso lungo e faticoso ma alla fine la nostra tesi è stata riconosciuta come valida”, ha detto il legale, commentando la sentenza. “La coppia ci ha sempre creduto".

Cosa succede ora

La Corte ha stabilito anche cosa cambierà nella pratica. “La regola”, si legge nel comunicato, “diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due. In mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, resta salvo l’intervento del giudice in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico”. Questi cambiamenti riguarderanno i figli nati nel matrimonio, fuori e anche a quelli adottati. Alcuni aspetti restano però da definire e, come specifica il comunicato, sarà compito del legislatore (quindi del Parlamento) farlo. Tra le altre cose, bisognerà decidere come procedere se uno dei due genitori ha già il doppio cognome.

Tuesday, May 10, 2022

La Festa del Lavoro

 La Storia della Festa del Lavoro ci porta in Australia, Chicago e Parigi

La Festa dei lavoratori ha una storia che risale al XIX secolo: il «Primo Maggio» venne — infatti — dichiarato ufficialmente una ricorrenza per la prima volta a fine Ottocento, per l'esattezza a Parigi, il 20 luglio del 1889. L’idea nacque durante il congresso della Seconda Internazionale, riunito nella capitale francese: venne indetta una grande manifestazione per chiedere alle autorità pubbliche di ridurre la giornata lavorativa a otto ore.

«8 ore di lavoro, 8 di svago, 8 per dormire» era lo slogan coniato in Australia anni prima, nel 1855 — condiviso da gran parte del movimento sindacale del primo Novecento — che aprì la strada a rivendicazioni generali e alla ricerca di un giorno in cui tutti i lavoratori potessero incontrarsi per esercitare una forma di lotta e rivendicare i loro diritti. Diritti che sono arrivati — poi — fino alla Costituzione italiana che come noto recita all'articolo 1: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro».

Concerto di primo maggio a Piazza San Giovanni a Roma

Perché proprio il primo maggio?

A far ricadere la scelta sulla data del 1° maggio furono i gravi incidenti accaduti tre anni prima, nei primi giorni di maggio del 1886 a Chicago : in piazza Haymarket si tenne un raduno di lavoratori e attivisti anarchici in supporto ai lavoratori in sciopero, trasformatosi in tragedia. A metà Ottocento, infatti, i lavoratori non avevano alcuna tutela: lavoravano anche 16 ore al giorno, in pessime condizioni, rischiando la vita. Il Primo maggio 1886 fu — così — indetto uno sciopero generale in tutti gli Stati Uniti per ridurre la giornata lavorativa a 8 ore. La protesta durò tre giorni e culminò appunto, il 4 maggio, con un massacro represso nel sangue: le vittime furono 11.

Il ricordo in tutto il mondo

L’iniziativa divenne il simbolo delle rivendicazioni degli operai che in quegli anni lottavano per avere diritti e condizioni di lavoro migliori. Così, nonostante la risposta repressiva di molti governi, il Primo maggio del 1889 registrò un’altissima adesione. Oggi quella data è festa nazionale in molti Paesi, tranne che negli Stati Uniti dove il «Labor Day» si festeggia il primo lunedì di settembre ed è differente dall’«International Workers' Day» che in America è stato riconosciuto ma mai ufficializzato come giorno dei lavoratori.

Una curiosità?

In Italia la festività del Primo maggio fu ratificata due anni dopo, nel 1891. Durante il ventennio fascista, a partire dal 1924, la celebrazione fu anticipata al 21 aprile, in coincidenza del cosiddetto «Natale di Roma» (e nel 1947, quando si riprese a festeggiarlo il Primo maggio, la celebrazione venne repressa nel sangue a Portella della Ginestra). Dopo la fine del conflitto mondiale, nel 1945, fu ripristinata mantenendo lo status di giorno festivo. Dal 1990 i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil, in collaborazione con il comune di Roma, organizzano un grande concerto in pizza san Giovanni per celebrare il Primo maggio, rivolto soprattutto ai giovani.

«Al lavoro per la pace»

Quest’anno, dopo due anni di pandemia, Cgil, Cisl e Uil celebrano la giornata con la tradizionale manifestazione che quest’anno si svolge ad Assisi, in piazza San Francesco. Un luogo non casuale per chiedere di porre fine all’aggressione della Russia all’Ucraina. Non a caso, lo slogan scelto quest’anno è «Al lavoro per la pace», perché — spiegano gli organizzatori — se da un lato c’è la gioia per il ritorno in piazza, dall’altro c’è l’angoscia per quanto sta accadendo a pochi passi da noi.

Frasi celebri

Il tema del lavoro è citato anche in diverse frasi celebri, passate alla storia, molte delle quali ricordano anche tante questioni ancora oggi irrisolte:

- «Si aspira ad avere un lavoro per avere il diritto di riposarsi» (Cesare Pavese)

- «Il lavoro è umano solo se resta intelligente e libero» (Papa Paolo VI)

- «Io credo nel popolo italiano. È un popolo generoso, laborioso, non chiede che lavoro, una casa e di poter curare la salute dei suoi cari. Non chiede quindi il paradiso in terra. Chiede quello che dovrebbe avere ogni popolo» (Sandro Pertini, nel discorso di fine anno agli italiani, 1981)

- «Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti tormento, tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro che non serva, non giovi a un nobile scopo» (Adriano Olivetti)

- «La grandezza del lavoro è all’interno dell’uomo» (Papa Giovanni Paolo II)

- «Se gli uomini hanno la capacità di inventare nuove macchine che tolgono lavoro ad altri uomini, hanno anche la capacità di rimetterli al lavoro» (J.F. Kennedy)

- «Rifiutate di accedere a una carriera solo perché vi assicura una pensione. La migliore pensione è il possesso di un cervello in piena attività che vi permetta di continuare a pensare uque ad finem, fino alla fine» (Rita Levi Montalcini)

- «L’artista è nulla senza il talento, ma il talento è nulla senza il lavoro» (Émile Zola)

- «L’unico modo di fare un ottimo lavoro è amare quello che fai.
Se non hai ancora trovato ciò che fa per te, continua a cercare, non fermarti,
come capita per le faccende di cuore,
saprai di averlo trovato non appena ce l’avrai davanti.
E, come le grandi storie d’amore,
diventerà sempre meglio con il passare degli anni.
Quindi continua a cercare finché non lo troverai.
Non accontentarti.
Sii affamato.
Sii folle» (Steve Jobs)

- «Un uomo non è pigro se è assorto nei propri pensieri; esiste un lavoro visibile e uno invisibile» (Victor Hugo)

«Lavorare senza amore è schiavitù» (Madre Teresa di Calcutta)

«La donna che può inventare il suo proprio lavoro è la donna che otterrà fama e fortuna» (Amelia Earhart)

«Io ho fatto tanti lavori e ho imparato questo: ti capita di fare quella cosa lì, falla bene. Qualche cosa ne uscirà» (Gianni Rodari)

         Da un articolo di Silvia Morosi sul Corriere della Sera, 1 maggio 2022

Thursday, April 7, 2022

Il bambino è il maestro

 “Il bambino è il maestro” il libro di Cristina De Stefano sulla vita di Maria Montessori

La donna italiana più famosa a livello internazionale.  Ricordate la sua immagine sulle banconote di 1000 lire?

 

 La figura del bambino si presenta possente e misteriosa, e noi dobbiamo meditare su di essa perché il bambino, che chiude in sé il segreto della nostra natura, divenga il nostro maestro.

Cristina De Stefano, si è dedicata ad uno studio accurato della vita e dell’operato della Montessori, arrivando a pubblicare, un’imponente biografia, in cui è possibile conoscere a tutto tondo la sua personalità straordinaria. Dalle pagine di questo volume si arriva a comprendere come il metodo rivoluzionario che ha inventato provenga da una donna estremamente indipendente, testarda, creativa e libera.

La copertina del libro

Non ci si annoia affatto leggendo la sua biografia, anzi, tanti fatti della vita della Montessori lasciano a bocca aperta, a partire dalla sua esperienza scolastica, che inizia in maniera estremamente traballante: pur essendo molto intelligente, la piccola Maria si farà bocciare e l’amore per lo studio nascerà tardi. Ha un carattere difficile, aspetto che d’altra parte sembra contraddistinguere molte figure geniali della storia.

Non fu solo pedagogista, ma intraprese anche gli studi di medicina con una specializzazione in neuropsichiatria infantile (fu tra le prime donne in Italia a laurearsi come medico). La sua specializzazione le permise di dedicarsi al recupero dei minori con problemi psichici, che venivano emarginati perché ritenuti “anormali”, lavorando a Roma presso la clinica psichiatrica universitaria. Proprio qui si innamorò di un collega ed ebbe un figlio fuori dal matrimonio, Mario, che verrà partorito di nascosto e affidato ad una famiglia lontano da Roma.

Quando aprì la prima “Casa dei bambini”, in cui comincia ad applicare il suo metodo, che smantellava quello tradizionale e impostava la scuola in un’ottica completamente differente, ottenne via via sempre più risultati confortanti e pian piano si interessò a lei tutto il mondo, Stati Uniti compresi. Il suo metodo mette al centro il bambino e ne fa un essere degno di rispetto, ne promuove la spontaneità e l’indipendenza nell’apprendimento.

Si può definire una visionaria, Maria Montessori, riconsiderò tutto quello che fino ad allora si dava per scontato sull’intelligenza infantile con grande coraggio, partendo con lo sperimentare nuove strategie in una scuola di un quartiere romano poverissimo. Proprio negli anni più duri del Novecento è riuscita ad infrangere antichi pregiudizi, dimostrando l’irragionevolezza di metodi di insegnamento basati sull’autoritarismo e contrastando pratiche di emarginazione ai danni di chi era sofferente o veniva considerato diverso, aprendo la strada ad un percorso di crescita dei bambini basato sulla piena espressione della loro creatività.

La straordinaria vita di Maria Montessori è stata anche una storia di emancipazione femminile, di passione e intelligenza, sicuramente un simbolo ed un esempio per tante educatrici ed insegnanti, che si impegnano ogni giorno nel loro lavoro, mettendosi in gioco, sperimentando, non scegliendo la via più semplice ed ovvia.


    Da un recente articolo di Sarah Carr sul Washington Post:

 Maria Montessori, the visionary behind the popular child-directed approach to education, focused her early efforts on groups that had long been excluded from Italy’s schools: children from impoverished backgrounds, kids with disabilities, those with mental illnesses. At the first school Montessori led, she worked with neglected young residents of one of Rome’s poorest, most “disreputable” neighborhoods, San Lorenzo — “a sort of no-man’s-land where the police are reluctant to set foot,” writes Cristina De Stefano in “The Child Is the Teacher: A Life of Maria Montessori,” a new biography of the famed educator. “The children of San Lorenzo, above all, elicit her compassion,” De Stefano tells us; they were “barefoot, defenseless, victims of all kinds of abuse.”

 It was at this school, the Children’s House, which opened in 1907 for children ages 2 to 6, that Montessori began to crystallize her approach, which emphasizes child-led exploration, manipulation of physical objects and steady teacher observation. She insisted from the start that “the children have to have total freedom of movement. They must be allowed, if they want, to lie on the floor or sit under the table.”

It was a radical pedagogy at the time — no less so because of its application to some of Italy’s most disenfranchised children. One of Montessori’s first essays on education documented the unnecessary treatment of Italian students expelled from school. “The article is an act of accusal against the government, which thinks it can resolve the problem of troubled youth by hiding it from view,” De Stefano writes.

Yet as the Montessori approach quickly spread, it morphed in some parts of the world into something very different: an educational fad for the upper class. In 1911, De Stefano reports, the first American Montessori school opened in a suburb of New York. It was private, was funded by a wealthy bank president and served exclusively students whose families were part of Manhattan’s financial elite. In more recent decades, dozens of public — and free — Montessori programs have opened across the country, often as part of explicit efforts to desegregate schools. Yet it remains an exclusive option in many communities; there are five times as many private Montessori schools in the United States as public ones.

“The Child Is the Teacher” repeatedly evokes this tension between “Montessorism” as something of a social justice movement, aimed at empowering society’s most neglected through education, and as an educational strategy deployed largely to benefit society’s most privileged.

It is that social justice element of Montessorism that Americans need to embrace now, as we emerge from a pandemic that has widened gaps in educational opportunity and outcomes, and contributed to the disappearance of thousands of disproportionately low-income students from classrooms.

 

Sunday, February 6, 2022

Murano, la crisi del gas

La crisi energetica che sta colpendo duramente l’Europa miete una vittima di lusso. Le vetrerie di Murano sono devastate dal rincaro dei prezzi del gas naturale.

 https://www.youtube.com/watch?v=_GZZpzBLYRQ La Magia del Vetro di Murano

La storia di Murano: perché tornare indietro è impossibile

L’affascinante storia del Vetro di Murano nasce nel 1291, quando si decise che le vetrerie di Venezia fossero trasferite a Murano. Questa decisione, che si rivelò ben presto importante per gli abitanti dell’isola di Murano, fu presa perché i forni dei laboratori a Venezia erano la causa principale di gravi incendi.

A Murano si lavora il vetro da otto secoli, e chiaramente il ricorso al gas naturale per azionarne i forni è molto recente. Il suo uso comune risale infatti agli anni ’50 del XX Secolo, quando i forni a gas hanno preso il posto di quelli tradizionali a legna.

Chiaramente, però, l’industria non può tornare sui suoi passi. Le emissioni locali, infatti, supererebbero di gran lunga la soglia di legge. “Puoi avere una stufa a legna su una montagna, ma non puoi avere centinaia di forni a legna che vanno a 1100 gradi Celsius“, ha infatti spiegato Francesco Gonella, fisico specializzato in vetro artistico. E intanto la stretta al collo di Murano e dei mastri vetrai che ci lavorano si fa sempre più insostenibile.



Le materie prime principali per la produzione del vetro sono la sabbia silicea, la soda ed il calcare. Si ottiene il vetro da questi 3 ingredienti, riscaldandoli in forni giganti che riscaldano a oltre 1300°C. A questa temperatura di fusione, gli ingredienti si scioglieranno e si mescoleranno per ottenere vetro fuso, liquido e bruciante. Quando si raffredda, forma una massa trasparente e fragile: il vetro.

L'impennata dei prezzi del combustibile di cui necessitano le vetrerie 24 ore al giorno, 365 giorni l'anno, per sfornare gli splendidi manufatti colorati che decorano le case, gli alberghi, i palazzi di tutto il mondo, rischia di essere la causa di nuove chiusure per le aziende. Piccole imprese che dopo l'acqua alta del 2019, dopo il Covid e una crisi del settore che vede timidi segnali di ripresa potrebbero non reggere gli ulteriori elevati costi del gas metano. E se gli imprenditori muranesi in questi giorni hanno alzato la voce per puntare un faro sulla questione, a farsi portavoce delle loro proteste sono i parlamentari veneziani, che hanno presentato interrogazioni al Governo per tutelare l'arte del vetro, ormai a rischio chiusura.

Stiamo parlando di rincari che sfiorano il 500%. Se a settembre pagavano circa 20 centesimi al metro cubo, ad ottobre pagavano quasi un euro.

Perché il gas naturale è indispensabile ai vetrai

Attualmente lo stop della vetreria Effetre è solo momentaneo, ma c’è chi ha chiuso e teme di non avere modo di riaprire mai più. I vetrai di Murano hanno spiegato che metà del costo mensile delle operazioni deriva dal mantenimento della temperatura richiesta per lavorare la materia prima. Le fornaci bruciano a oltre 1.180 gradi centigradi, e lavorano 24 ore al giorno. Motivo per cui anche spegnere e riaccendere i forni rappresenta un costo estremamente gravoso.

Infatti il processo di raffreddamento rompe i crogioli, i tini di argilla in cui viene cotto il vetro. Sia quelli che i mattoni resistenti al fuoco devono essere sostituiti. Quindi ai vetrai di Murano possono servire anche due settimane per tornare alla giusta temperatura. La Effetre ha stimato che la riaccensione contemporanea di 15-16 forni può avere un costo compreso tra gli 80 e i 90 mila euro.

Vetrerie Murano: quelle attive sono sempre meno

Nel mese di dicembre, delle vetrerie di Murano, solo due erano ancora accese. Ben diciotto, infatti, erano inattive, fredde e vuote. “Nessuno qui ricorda un dicembre così in sordina“ ha spiegato Cristiano Ferro, 52 anni, uno dei proprietari della Effetre.

Se la stima parla di un consumo di 10 milioni di metri cubi annui, la spesa per il solo gas a cui saranno chiamate a far fronte le circa 60 aziende attive nell'isola si aggira sui 10 milioni di euro, con un maggior costo di circa 7,5 milioni. È un rincaro che va a colpire tutta la filiera: le aziende, il capitale umano, l'indotto di riferimento composto da incisori, decoratori e professionisti dell'arte vetraria a cui si aggiunge la filiera dello stoccaggio, dei trasportatori, dei negozianti, dei commercianti.

Friday, January 14, 2022

 Riprenderemo l'usanza di stringersi la mano?

La tradizione è molto antica, ma in Occidente si diffuse solo dopo la caduta dell'Impero romano, grazie alle popolazioni germaniche che abitavano il nord dell'Europa. 

Abbiamo interrotto l’usanza della stretta della mano a causa del covid. Gli esperti ci dicono che il covid si attenuerà e diventerà un’infezione simile all’influenza e quindi dovremo confrontarle entrambe.  Considerando che abbiamo negli USA in media, solo per l’influenza, 35.000 morti e 450.000 ricoveri all’anno, pensi che l’usanza di stringersi la mano scomparirà o riprenderemo a farla?

La stretta di mano tra Era e Atena in una stele del V secolo a.C. WikiMedia 

La pratica di salutarsi stringendosi la mano oggi è molto diffusa, un'abitudine che soltanto le misure di contenimento della pandemia hanno "sospeso". Ma le testimonianze antiche di questa usanza sono rare. Una delle attestazioni più famose in Occidente è una stele del V secolo a. C. dove a salutarsi così erano le dee Atena ed Era.

Immagini di strette di mano compaiono anche in stele funerarie dello stesso periodo, ma per gli storici si tratta di eccezioni: nella Roma antica ad esempio ci si salutava più frequentemente dandosi un bacio. La stretta di mano era limitata a situazioni particolari ed era riservata a pochi intimi: familiari e amici molto cari.

Relief Depicting King Shalmaneser III 858-824 BC Of Assyria

Stretta babilonese. Le cose andavano diversamente in Oriente. Lì questa pratica era diffusa già 4.000 anni fa, almeno nelle cerimonie religiose. Una delle testimonianze storiche più importanti proviene infatti da Babilonia (1800 a. C.) dove durante le solennità del nuovo anno il monarca stringeva simbolicamente la mano della statua di Marduk, il maggior dio babilonese, protettore dell'antica città.

Mi fido di te. La stretta di mano come la conosciamo noi oggi - diffusa a 360 gradi in tutta la popolazione - è divenuta pratica diffusa in Europa solo dopo la caduta dell'impero romano, durante l'Alto Medioevo (V-X secolo d.C.). A praticarla erano soprattutto le tribù germaniche: serviva a esprimere la piena fiducia nei confronti di chi si incontrava. E il perché è facile da capire: impegnando la mano destra era infatti impossibile sfoderare la spada per difendersi.

Paese che vai... Da allora la stretta di mano si è diffusa a macchia d'olio e oggi è comune in numerose culture, con alcune varianti. Nei paesi anglofoni è praticata ad esempio soprattutto nei contesti lavorativi, mentre nei paesi arabi il saluto (nella versione completa) prevede che la mano tocchi in successione il torace, le labbra e la parte centrale della fronte, poi il gesto si prolunga in avanti, mentre si fa un inchino. O secondo altre usanze che si appoggi sul petto, mentre l'altra mano stringe quella dell'interlocutore. Tra i Masai, infine, gli uomini più che stringersi la mano se la sfiorano: il loro saluto infatti consiste in un leggero tocco di palmo delle mani che dura un brevissimo istante.

CDC Flu in the U.S. 2010 –  2020 

                  Future  COVID

                     Morti + ?

       

                   Ricoveri + ?


                  Infezioni + ?


The burden of flu disease in the United States can vary widely and is determined by a number of factors including the characteristics of circulating viruses, the timing of the season, how well the vaccine is working to protect against illness, and how many people got vaccinated. While the effects of flu varies, it places a substantial burden on the health of people in the United States each year.

CDC estimates that flu has resulted in 9 million – 41 million illnesses, 140,000 – 710,000 hospitalizations and 12,000 – 52,000 deaths annually between 2010 and 2020.

CDC Estimated Range of Annual Burden of Flu in the U.S. from 2010 –  2020


Adapted from an article in Focus



Tuesday, November 30, 2021

Italy's great year

For the past six months, Italians have been floating from triumph to triumph.

 
It began in May when an Italian band, Maneskin, who previously won the Festival of San Remo, won the Eurovision song contest


In July their men’s football team became Europe’s champions beating England at home in London’s Wembley Stadium.


In August, at the Olympics, their male sprinters astonished the sporting world, claiming gold in the 100 meters and 4 x 100 meters relay.

In October, an Italian scientist, Giorgio Parisi, shared the Nobel Prize for physics, for groundbreaking contributions to theory of complex systems.

 

Italy has meanwhile started to be governed by an internationally respected prime minister, Mario Draghi, with a huge parliamentary majority that allows him to turn his projects swiftly into law. Supported by an effective vaccination campaign, the economy is recovering strongly. On October 28th Mr Draghi, a former president of the European Central Bank, forecast economic growth this year of “probably well over 6%”, though few expect Italy’s GDP to regain its pre-pandemic level until 2022, well behind America and Britain, among others. But Standard & Poor’s, a rating agency, has revised its outlook for Italian debt from stable to positive, and Italians can look forward to a period in which their government will be in a position—under an obligation, indeed—to spend liberally for the first time since the days of the post-war, American-funded Marshall Plan.

Italy stands to be the biggest beneficiary in absolute terms of the EU’s post-pandemic recovery project. From the core Recovery and Resilience Facility alone, it is due to receive €191.5bn in grants and loans. Such an influx of cash cannot help but have an impact on an economy that, even before covid-19, had barely grown this century, thanks to a combination of slow growth in even the best years and big declines in the bad ones. Real GDP per person was 1% lower over the period, compared with increases of 16% in France and 24% in Germany. Oxford Economics estimates that over the next three to four years the EU’s recovery project will add on average a helpful annual 0.5 percentage points to Italian GDP growth.

Italy’s reform program is not the problem; that is ahead of schedule. In May a package was approved that simplified a wide range of bureaucratic procedures. And a shake-up of the criminal-justice system is about to be implemented. A further reform, focusing on civil justice, is in the pipeline. Officials say that legislation to promote competition is also coming soon.

The problem is with investment. The outstanding foot-draggers appear to be the ministry of tourism, which at the time of the report had yet to implement any of the six investments for which it is responsible; and the department for ecological transition, which had implemented only one.

Looking beyond the end of this year, one doubt arises. It concerns the fate of legislation after it is handed out for implementation at the sub-national level. “In Italy, the intention of policies is all too often lost in translation,” says Paolo Graziano, who teaches political science at the University of Padua. There is a shortage of the necessary project-management skills among officials charged with implementing complex programs—a shortcoming the Draghi government says it has begun to address. But another reason, says Fabrizio Tassinari of the European University Institute in Florence, is that “secondary legislation becomes hostage to vested interests, from local authorities to trade unions.”

On October 18th mayoral candidates from the Democratic Party (PD) were elected in Rome and Turin, completing a clean sweep of Italy’s biggest cities by the center-left. But the PD and its allies are weaker in the provinces. Polls continue to suggest that Italy’s next government will be a coalition dominated by two parties that have long been critical of the European Commission: the Brothers of Italy (FdI) party, which has links to neo-fascism, and the hard-right Northern League.

A significant weakness of the Italian economy is that, while taxes on labor are too high, those on property are too low. There is no real estate tax on your main residence, unless it is considered a luxury home. Mr Draghi’s government moved to adjust the balance by changing the criteria used in the land registry in a way that would have boosted the revenue from property. But he ran into determined opposition from the League’s leader, Matteo Salvini. As a result, the changes will not now come into effect until 2026; and even then, they will not be used to calculate tax liability.

Adapted from an article in The Economist, "The Mario magic"



Monday, November 1, 2021

Netflix pushes Europe toward a more common culture

Why is it so difficult to reach an agreement in Europe in helping nations in economic difficulty? The last time Europe was a unified entity was during the Roman Empire. A common language, Latin, a common currency, and commerce spread throughout most of Europe. Now, as the European Union inches toward a more unified political and economic structure, there is a need for a more blended culture and less nationalism.


How Netflix is creating a common European culture

Adapted from an article in The Economist

“BARBARIANS”, a NETFLIX drama set 2,000 years ago in ancient Germania, inverts some modern stereotypes. In it, sexy, impulsive, proto-German tribesmen take on an oppressive superstate led by cold, rational Latin-speakers from Rome. Produced in Germany, it has all the hallmarks of a glossy American drama (gratuitous violence and nudity) while remaining unmistakably German (in one episode someone swims through a ditch full of scheisse). It is a popular mix: on a Sunday in October, it was the most-watched show on Netflix not just in Germany, but also in France, Italy and 14 other European countries.

Netflix series "Barbarians"

Other successful Netflix shows seen across Europe and America include Bordertown (Finland), Cable Girls (Spain), Norsemen (Sweden), and Lupin (France).

"Cable Girls", a Spanish series

Moments when Europeans sit down and watch the same thing at roughly the same time used to be rare. They included the Eurovision Song Contest and the Champions League football, with not much in between. Now they are more common, thanks to the growth of streaming platforms such as Netflix, which has 58m subscribers on the continent. For most of its existence, television was a national affair. Broadcasters stuck rigidly to national borders. Streaming services, however, treat Europe as one large market rather than 27 individual ones, with the same content available in each. Jean Monnet, one of the EU’s founding fathers, who came up with the idea of mangling together national economies to stop Europeans from killing each other, was once reputed to have said: “If I were to do it again from scratch, I would start with culture.” Seven decades on from the era of Monnet, cultural integration is beginning to happen.

Umberto Eco, an Italian writer, was right when he said the language of Europe is translation. Netflix and other deep-pocketed global firms speak it well. Just as the EU employs a small army of translators and interpreters to turn intricate laws or impassioned speeches of Romanian MEPs into the EU’s 24 official languages, so do the likes of Netflix. It now offers dubbing in 34 languages and subtitling in a few more. The result is that “Capitani”, a cop drama written in Luxembourgish, a language so modest it is not even recognized by the EU, can be watched in any of English, French or Portuguese (or with Polish subtitles). Before, a top French show could be expected to be translated into English, and perhaps German, only if it was successful. Now it is the norm for any release.

"Bordertown" from Finland
The economics of European productions are more appealing, too. American audiences are more willing than before to give dubbed or subtitled viewing a chance. This means shows such as “Lupin”, a French crime caper on Netflix, can become global hits. In 2015, about 75% of Netflix’s original content was American; now the figure is half, according to Ampere, a media-analysis company. Netflix has about 100 productions under way in Europe, which is more than big public broadcasters in France or Germany. To operate in the EU, streaming companies are required to ensure at least 30% of their catalogue hails from the bloc—and to promote it. Buying old 1990s Belgian soap operas and hiding them in a digital cupboard does not count.

 Not everything works across borders. Comedy sometimes struggles. Whodunits and bloodthirsty maelstroms between rigid Romans and uppity tribesmen have a more universal appeal. Some do it better than others. Barbarians aside, German television is not always built for export, says one executive, being polite. A bigger problem is that national broadcasters still dominate. Streaming services, such as Netflix or Disney+, account for about a third of all viewing hours, even in markets where they are well-established. Europe is an ageing continent. The generation of teens staring at phones is outnumbered by their elders who prefer to stare at the box.

Choose your language and still see the same programs

In Brussels and national capitals, the prospect of Netflix as a cultural hegemon is seen as a threat. “Cultural sovereignty” is the watchword of European executives worried that the Americans will eat their lunch. To be fair, Netflix content sometimes seems stuck in an uncanny valley somewhere in the mid-Atlantic, with local quirks stripped out. Netflix originals tend to have fewer specific cultural references than shows produced by domestic rivals, according to Enders, a market analyst. The company used to have an imperial model of commissioning, with executives in Los Angeles cooking up ideas French people might like. Now Netflix has offices across Europe. But ultimately the big decisions rest with American executives. This makes European politicians nervous. They should not be.

An irony of European integration is that it is often American companies that facilitate it. Google Translate makes European newspapers comprehensible, even if a little clunky, for the continent’s non-polyglots. American social-media companies make it easier for Europeans to talk politics across borders. Now Netflix and friends pump the same content into homes across a continent, making culture a cross-border endeavor, too. The EU is a project just half-realized. If Europeans are to share a currency, bail each other out in times of financial need and share vaccines in a pandemic, then they do not need more nationalism but a more shared culture.