Un bambino di 17.000 anni fa fa luce sul patrimonio genetico dell’Italia
La scoperta di uno scheletro di 17.000 anni fa nella Grotta
delle Mura, vicino a Monopoli in Puglia, ha offerto nuove
informazioni sulla storia genetica delle prime popolazioni umane nell’Italia
meridionale. Il bambino, morto a soli 16 mesi, è uno dei ritrovamenti
archeologici più significativi degli ultimi anni, in particolare perché il suo genoma
è il più antico mai sequenziato in Italia. Lo studio è stato condotto da
università italiane e tedesche e pubblicato su Nature Communications;
offre uno sguardo affascinante sulla vita, la salute e l’ascendenza genetica di
un giovane abitante del Paleolitico.
I resti scheletrici del bambino sono stati trovati nel
1998, notevolmente ben conservati, all’interno di una grotta carsica di grande
importanza archeologica per le prove di attività umana risalenti a decine di
migliaia di anni fa. Lo scheletro è stato trovato supino, parzialmente coperto
da pietre, senza alcuna prova di corredi funerari o pratiche di sepoltura
cerimoniale tipiche del tardo Neolitico. Nonostante la semplicità della
sepoltura in sé, le condizioni del corpo hanno permesso ai ricercatori di estrarre
circa il 75% del genoma.
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Lo scheletro nella caverna |
Il neonato visse solo pochi secoli dopo l'Ultima
glaciazione massima, un periodo in cui le calotte glaciali ricoprivano gran
parte della Terra. L'Italia meridionale, tuttavia, era più calda di altre parti
d'Europa, offrendo un rifugio alla piccola banda di cacciatori-raccoglitori a
cui apparteneva il bambino. Il clima relativamente mite di questa regione ha
preservato i resti del bambino, il che ha permesso agli scienziati di
recuperare gran parte del suo genoma.
L’eredità genetica delle prime popolazioni dell’Italia meridionale
Il DNA del bambino mostra che apparteneva a una
popolazione di cacciatori-raccoglitori occidentali, un gruppo che
occupava gran parte dell’Europa durante il Paleolitico superiore. Queste
popolazioni erano caratterizzate da pelle scura, capelli scuri e ricci e occhi
azzurri, una combinazione di tratti abbastanza distinti da ciò che tipicamente
associamo agli europei moderni. Ma una
delle scoperte più sorprendenti è stata, senza dubbio, la diversità genetica
presente nel DNA del bambino, un chiaro riflesso della migrazione e della
mescolanza genetica che si è verificata tra diversi gruppi di
cacciatori-raccoglitori durante il Paleolitico. Nonostante vivesse nell’Italia
meridionale, il profilo genetico del bambino ha mostrato affinità con
popolazioni che vivevano in tutta Europa, in particolare nelle regioni intorno
al Mar Nero e ai Balcani, il che supporta la teoria secondo cui l’Italia
meridionale ha agito come un crocevia per varie migrazioni umane, un ruolo che
avrebbe continuato a svolgere nel corso della storia.
L’analisi genomica ha anche rivelato che il bambino soffriva di una cardiopatia congenita nota come cardiomiopatia ipertrofica, che probabilmente ha causato la sua morte. Questa malattia probabilmente l’ha ereditata dai genitori, che erano strettamente imparentati, probabilmente cugini di primo grado. Tali strette relazioni familiari non erano rare tra piccoli gruppi di cacciatori-raccoglitori, dove le popolazioni erano relativamente isolate e le interconnessioni all’interno del gruppo erano una necessità per la sopravvivenza.
Oltre alle condizioni cardiache, le prove fornite dai denti del bambino suggeriscono che ha sperimentato stress fisiologico che potrebbe essere stato dovuto alle condizioni cardiache, ma potrebbe anche riflettere le sfide della sopravvivenza in un ambiente ostile. L’analisi degli isotopi dai resti indica anche che la madre ha sperimentato una mobilità limitata durante la gravidanza, indicando che la comunità è probabilmente rimasta nello stesso posto per lunghi periodi, forse a causa delle condizioni ambientali o delle pratiche culturali.
Uno degli aspetti più significativi di questa scoperta è
ciò che ci dice sulle dinamiche migratorie e demografiche dei primi esseri
umani nell’Italia meridionale. Le prove genetiche del bambino e di altri
reperti simili indicano che le popolazioni in questa parte del paese all’epoca
non erano isolate, ma facevano parte di una rete più ampia di gruppi umani che
migrarono attraverso l’Europa. Il genoma del bambino rivela una miscela di
tratti genetici di diversi gruppi di cacciatori-raccoglitori, dimostrando che
anche nel Paleolitico superiore vi era un flusso genico significativo tra le
popolazioni. Indica anche un grado di differenziazione genetica tra le
popolazioni dell’Italia settentrionale e meridionale, il che suggerisce che
mentre vi era un significativo movimento di persone attraverso l’Europa, anche
le popolazioni locali iniziarono a sviluppare profili genetici distinti,
probabilmente a causa dell’isolamento di diversi gruppi in risposta a barriere
ambientali e geografiche.
Echi di un passato italiano diversificato
Quest’ultima scoperta sottolinea la natura dinamica e
diversificata delle popolazioni che hanno abitato l’Italia nel corso della
storia. Successivamente, gli Etruschi e i
Greci, seguiti dai Romani, hanno contribuito alla diversità genetica. Durante
l’Impero romano, l’Italia è diventata un crogiolo di culture e popoli
provenienti da tutta Europa, Nord Africa e Vicino Oriente. Questa diversità
genetica è persistita fino al Medioevo, quando la posizione centrale
dell’Italia nel Mediterraneo ha facilitato il commercio, lo scambio culturale e
ulteriori migrazioni. Nel tempo, l’arrivo di gruppi come i Longobardi ha
continuato a plasmare la popolazione. Le tracce di questi antichi popoli sono
ancora presenti nella moderna popolazione italiana, che rimane una delle più
diverse, geneticamente parlando, in Europa.