Come si dice? Nove errori in italiano che possiamo evitare.
L’italiano è la
quarta lingua più studiata al mondo. Perché, ammettiamolo, è anche una delle
più belle. Tuttavia, ricca com’è di peculiarità ed eccezioni, può indurci
facilmente in errore, soprattutto quando scriviamo. Ma con un po’ di attenzione
possiamo venirne a capo: il segreto è non respingere i dubbi sull’uso della
lingua, quando ci vengono, ma approfondirli.
Sé stesso o se
stesso? A scuola ci hanno
insegnato che il pronome personale sé, quando è seguito da stesso non
vuole l'accento, perché non ha più bisogno di distinguersi dalla congiunzione
se. «Ma è una consuetudine: non c’è niente di sbagliato nello scrivere sé
stesso e sé medesimo», avverte Claudio Giunta, docente di letteratura
italiana all’Università di Trento, in Come non scrivere (Edizioni Utet).
Quindi sì, va bene in entrambi i modi.
Un po’ o un
pò? Si scrive un po’
con l’apostrofo e non con l'accento sulla o, perché po’ è la forma
tronca di poco.
Si può dire:
“da sempre”? Meglio
di no. Scrive Giunta: «Da sempre e da subito si sentono sempre
più spesso, ma se ci pensate sono espressioni che non hanno molto senso. Sempre
non indica un momento del passato dal quale far cominciare il computo del
tempo bensì una durata (sempre = per tutto il tempo); e subito non
è sinonimo di ora ("d’ora in poi") ma di
"immediatamente", ovvero esprime l’istantaneità di un fatto, di
un’azione. Scriveremmo Mi è piaciuto da immediatamente? Invece di Sono
stato da sempre a me pare meglio dire e scrivere Sono sempre stato».
L'annosa
questione del congiuntivo? L’uso del congiuntivo nella lingua italiana meriterebbe un approfondimento.
Nel frattempo, una delle poche regole sicure è: se una frase completiva può
essere introdotta sia da che sia da come, dopo che ci
vuole l’indicativo, dopo come il congiuntivo. Ecco un esempio:
"Ho già
ricordato che i Romani avevano occupato gran parte dell’Europa".
"Ho già
ricordato come i Romani avessero occupato gran parte dell’Europa".
Perché qual
è si scrive senz’apostrofo e quand’è, invece, con l’apostrofo? Perché qual non è un elisione (cade
la vocale finale di una parola quando quella successiva inizia per vocale), ma
- spiega Andrea De Benedetti in La situazione è grammatica
(Einaudi) - «un’apocope di quale, una parola cioè che non ha alcuna
necessità di appoggiarsi a un apostrofo per reggersi in piedi, come attestano
le locuzioni la qual cosa, ogni qual volta, nel qual caso».
Ma come distinguere un’apocope da un’elisione? È facile: una parola troncata (apocope) si può pronunciare da sola conservando il suo significato (signor, cavalier, nobil, castel, fiorir, fuggir, buon, e qual); mentre non possiamo dire: l, dell, sant, senz, eccetera.
Perché si dice
(e si scrive) i computer e non i computers e le tapas e non le tapa? Ce lo spiega il sito Il mestiere di
scrivere: «All'interno di un testo italiano le parole straniere non si
declinano al plurale, a meno che non siano entrate nella nostra lingua proprio
al plurale, come nel caso di peones, tapas, avances e, naturalmente, jeans».
Si può dire
“diffidate dalle imitazioni”? Se c’è uno slogan buono per tutte le stagioni è questo. Ma è corretto dire
“diffidate dalle imitazioni”? Scrive De Benedetti: «Se il significato è
quello di «invitare qualcuno ad astenersi dal compiere qualcosa», si dice
infatti diffidare da («ti diffido dal mettere in giro notizie false sul
mio conto»), se invece diffidare è l’antonimo (contrario) di fidarsi,
bisognerebbe, anche solo per una questione di simmetria etimologica, dire diffidare
di».
Dunque la forma
corretta in questo caso sarebbe diffidate delle imitazioni. Ma, continua
De Benedetti: «Il problema è sempre lo stesso, e cioè che a furia di imitare
una forma sbagliata, questa ha ottime chance, a lungo andare, di convertirsi in
regola, o quantomeno di essere recepita come tale…».
E
"piuttosto che"? Negli anni 80 ha cominciato a diffondersi l’uso del piuttosto che
con il significato disgiuntivo di “oppure”. È un errore. Il fenomeno - secondo
i linguisti - potrebbe aver avuto origine nel parlato dei giovani di Milano e
Torino.
“Questa sera, se
vogliamo uscire, possiamo andare al cinema piuttosto che (= oppure) a teatro” e
“Al mercato potete trovare ogni tipo di verdura: pomodori piuttosto che (=
oltre che) peperoni…” sono due esempi dell’(ab)uso del piuttosto che.
Ma avverte la
Treccani: «Si tratta di usi decisamente sconsigliabili non solo nello scritto,
ma anche nel parlato». Dunque qual è l’uso giusto del piuttosto che? «Piuttosto
che si usa correttamente davanti a proposizioni avversative e comparative e
significa anziché, indica cioè una preferenza accordata a un elemento
rispetto a un altro».
Dunque, è corretto: «Piuttosto che dire sciocchezze, rimani in silenzio», «Preferisco andare in bicicletta piuttosto che usare l’automobile».
Mentre non è corretto: «Possiamo andare al cinema piuttosto che (= oppure) a teatro».
Irruente o
irruento? La prima è
più vicina all’etimo latino (irruentem), la seconda, diffusa nell’italiano
contemporaneo. Ma “Entrambe le forme” - avverte il dizionario Treccani -
possono considerarsi corrette” (vale anche per succube e succubo).
Adattato da un’articolo di Focus, 17 Febbraio 2018