Tuesday, March 20, 2018


Come si dice? Nove errori in italiano che possiamo evitare.

L’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo. Perché, ammettiamolo, è anche una delle più belle. Tuttavia, ricca com’è di peculiarità ed eccezioni, può indurci facilmente in errore, soprattutto quando scriviamo. Ma con un po’ di attenzione possiamo venirne a capo: il segreto è non respingere i dubbi sull’uso della lingua, quando ci vengono, ma approfondirli.

Sé stesso o se stesso? A scuola ci hanno insegnato che il pronome personale sé, quando è seguito da stesso non vuole l'accento, perché non ha più bisogno di distinguersi dalla congiunzione se. «Ma è una consuetudine: non c’è niente di sbagliato nello scrivere sé stesso e sé medesimo», avverte Claudio Giunta, docente di letteratura italiana all’Università di Trento, in Come non scrivere (Edizioni Utet). Quindi sì, va bene in entrambi i modi.

Un po’ o un pò? Si scrive un po’ con l’apostrofo e non con l'accento sulla o, perché po’ è la forma tronca di poco.

Si può dire: “da sempre”? Meglio di no. Scrive Giunta: «Da sempre e da subito si sentono sempre più spesso, ma se ci pensate sono espressioni che non hanno molto senso. Sempre non indica un momento del passato dal quale far cominciare il computo del tempo bensì una durata (sempre = per tutto il tempo); e subito non è sinonimo di ora ("d’ora in poi") ma di "immediatamente", ovvero esprime l’istantaneità di un fatto, di un’azione. Scriveremmo Mi è piaciuto da immediatamente? Invece di Sono stato da sempre a me pare meglio dire e scrivere Sono sempre stato».

L'annosa questione del congiuntivo? L’uso del congiuntivo nella lingua italiana meriterebbe un approfondimento. Nel frattempo, una delle poche regole sicure è: se una frase completiva può essere introdotta sia da che sia da come, dopo che ci vuole l’indicativo, dopo come il congiuntivo. Ecco un esempio:
"Ho già ricordato che i Romani avevano occupato gran parte dell’Europa".
"Ho già ricordato come i Romani avessero occupato gran parte dell’Europa".
  
Perché qual è si scrive senz’apostrofo e quand’è, invece, con l’apostrofo? Perché qual non è un elisione (cade la vocale finale di una parola quando quella successiva inizia per vocale), ma - spiega Andrea De Benedetti in La situazione è grammatica (Einaudi) -  «un’apocope di quale, una parola cioè che non ha alcuna necessità di appoggiarsi a un apostrofo per reggersi in piedi, come attestano le locuzioni la qual cosa, ogni qual volta, nel qual caso».

Ma come distinguere un’apocope da un’elisione? È facile: una parola troncata (apocope) si può pronunciare da sola conservando il suo significato (signor, cavalier, nobil, castel, fiorir, fuggir, buon, e qual); mentre non possiamo dire: l, dell, sant, senz, eccetera. 

Perché si dice (e si scrive) i computer e non i computers e le tapas e non le tapa? Ce lo spiega il sito Il mestiere di scrivere: «All'interno di un testo italiano le parole straniere non si declinano al plurale, a meno che non siano entrate nella nostra lingua proprio al plurale, come nel caso di peones, tapas, avances e, naturalmente, jeans».  

Si può dire “diffidate dalle imitazioni”? Se c’è uno slogan buono per tutte le stagioni è questo. Ma è corretto dire “diffidate dalle imitazioni”? Scrive De Benedetti: «Se il significato è quello di «invitare qualcuno ad astenersi dal compiere qualcosa», si dice infatti diffidare da («ti diffido dal mettere in giro notizie false sul mio conto»), se invece diffidare è l’antonimo (contrario) di fidarsi, bisognerebbe, anche solo per una questione di simmetria etimologica, dire diffidare di».

Dunque la forma corretta in questo caso sarebbe diffidate delle imitazioni. Ma, continua De Benedetti: «Il problema è sempre lo stesso, e cioè che a furia di imitare una forma sbagliata, questa ha ottime chance, a lungo andare, di convertirsi in regola, o quantomeno di essere recepita come tale…».

E "piuttosto che"? Negli anni 80 ha cominciato a diffondersi l’uso del piuttosto che con il significato disgiuntivo di “oppure”. È un errore. Il fenomeno - secondo i linguisti - potrebbe aver avuto origine nel parlato dei giovani di Milano e Torino.

“Questa sera, se vogliamo uscire, possiamo andare al cinema piuttosto che (= oppure) a teatro” e “Al mercato potete trovare ogni tipo di verdura: pomodori piuttosto che (= oltre che) peperoni…” sono due esempi dell’(ab)uso del piuttosto che.

Ma avverte la Treccani: «Si tratta di usi decisamente sconsigliabili non solo nello scritto, ma anche nel parlato». Dunque qual è l’uso giusto del piuttosto che? «Piuttosto che si usa correttamente davanti a proposizioni avversative e comparative e significa anziché, indica cioè una preferenza accordata a un elemento rispetto a un altro».

Dunque, è corretto: «Piuttosto che dire sciocchezze, rimani in silenzio», «Preferisco andare in bicicletta piuttosto che usare l’automobile».
Mentre non è corretto: «Possiamo andare al cinema piuttosto che (= oppure) a teatro».

Irruente o irruento? La prima è più vicina all’etimo latino (irruentem), la seconda, diffusa nell’italiano contemporaneo. Ma “Entrambe le forme” - avverte il dizionario Treccani - possono considerarsi corrette” (vale anche per succube e succubo).

Adattato da un’articolo di Focus, 17 Febbraio 2018

Sunday, March 11, 2018


L’Italia espressa in 12 grafici senza faziosità, ideologia e retorica.


L’Italia dopo la recessione mondiale del 2008 è cresciuta meno degli altri paesi europei. Ora con una disoccupazione ancora intorno all’11% e il livello di Pil lo stesso che aveva 25 anni fa, ci vorranno alcuni anni prima che arrivi al quello del 2008, cioè a un livello economico prima della grande recessione.

Le frustrazioni degli italiani hanno influito sul risultato delle elezioni.
Segue l'articolo del WSJ

The economy is improving, but deep scars from the longest downturn still remain.
Eric Sylvers
The Wall Street Journal

The global financial crisis and the eurozone debt meltdown that followed hit Italy particularly hard. The economy has begun to grow again, but as Italians went to the polls, it remains the only member of the Group of Seven leading industrial nations whose economy is still smaller than its precrisis size.




Helped by the fastest European economic growth in a decade, Italian business sentiment is at its highest since 2007.



The benign sentiment in international markets means this vote—unlike previous Italian political events—is having a limited impact on bond yields. 

 During the crisis, Italy addressed some of the problems afflicting its economy—and the country has risen in the World Bank’s ease-of-doing-business rankings—but it still lags behind rivals such as Spain.

Deep problems remain for the economy and society: The percentage of young Italians not in an educational program, employment or training is more than double that in Germany and higher than in any other country in the European Union


Poverty rates in Italy have soared during the crisis, even as they have leveled off or fallen elsewhere in Europe.



Unemployment has come down, but much of the progress can be attributed to an increase in short-term employment contracts that generally pay low wages and rarely lead to a full-time position.




Heavy spending on pensions has crowded out investment in other areas such as education.




The historic deep divide between Italy’s north—one of Europe’s wealthiest areas—and a deeply depressed south has only worsened during the downturn.



Nationwide, only roughly a third of Italians believe they will be better off than their parents’ generation.




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